... continua dal par. 3.2.3
3.3. Ecoconsumo e diritti animali
"Anni fa, partecipando ad una battuta anti-caccia (in pratica un'azione di disturbo) mi sono trovata un fucile puntato contro. Non potevo nascondermi, né scappare e soprattutto non potevo difendermi, in nessun modo. Me ne stavo lì ferma, incapace di reagire e lucidamente consapevole che la mia vita non aveva nessun valore per la persona che avevo di fronte. Ero convinta che avrebbe sparato, come ad uno scoiattolo o a un capriolo e quando finalmente il fucile si è abbassato ho vomitato per la paura. Questa esperienza ha cambiato radicalmente il mio modo di vivere l'animalismo e il valore "in scala" della vita dell'uomo e dell'animale che mi era stato inculcato fino a quel momento, non valeva più un cazzo. Capisco perfettamente cosa prova un animale indifeso di fronte a un cacciatore, a un allevatore, a un vivisettore e quando penso alla sua condizione, un odio feroce mi annebbia la mente." L'animalismo ricopre una veste fondamentale nella cultura DiY. La difesa degli animali segue numerosi percorsi riguardanti sia un radicale cambio di abitudini sia azioni rivolte verso l'esterno, la società.
3.3.1. Vegetarianesimo e veganesimo
Per gli animalisti è fondamentale adottare uno stile di vita che non implichi sofferenza animale. La dieta vegetariana fornisce un primo importante passo verso l'eliminazione di prodotti di origine animale. Più etica e corretta rispetto all'alimentazione vegetariana viene considerata la dieta vegana. Il termine vegano deriva dall'inglese vegan che secondo alcuni dovrebbe essere la contrazione di vegetarian (veg<etari>an). Vegano è sinonimo di vegetaliano (colui che si nutre solo di vegetali), con lo stesso significato sono in uso anche le parole veganiano o veganista. Essere vegani implica eliminare completamente qualsiasi prodotto di derivazione animale e quindi anche uova, latte e derivati spesso tollerati dai vegetariani. Molti animalisti sottolineano infatti come anche il consumo di questi prodotti comporti sia sofferenza animale sia la generazione di ulteriori profitti per le stesse imprese responsabili della macellazione, produzione e vendita di carne. Contrariamente a quanto si crede, il latte non è insostituibile per l'essere umano. Esso è un alimento raccomandato per il fatto di essere ricco di calcio e proteine, elementi ottenibili da molti cibi. Entrambi presenti in tutti i prodotti derivati dalla soia essi si trovano anche nel pane, le albicocche, i fichi, le prugne, la quinoa, le mandorle, i semi di sesamo, gli spinaci e i broccoli per quanto riguarda il calcio è in tutte le noci, i fagioli, i semi, l'avena, la quinoa, la pasta, il riso e i piselli per quello che riguarda le proteine. La produzione di latte, attività naturale per la mucca e destinata al nutrimento del proprio vitellino, cela in realtà l'applicazione di metodi industriali che rispondono a logiche di sfruttamento intensivo. Per poter produrre latte, formaggi, yogurt, burro ed altri derivati, l'industria casearia spezza il legame materno fra mucca e vitello. Quest'ultimo, separato quasi immediatamente dalla madre, verrà nutrito con un sostituto del latte, mentre in natura l'allattamento durerebbe 6 mesi. Solo il 20% dei vitelli raggiunge l'età adulta, quando potrà cioè produrre latte, il rimanente viene ucciso all'età di due anni per ottenere carne, pelle (generalmente trasformata in pelle scamosciata) e caglio per la produzione di formaggi.
La sorte della mucca non è meno impietosa: mantenuta in gravidanza per 9 mesi l'anno e munta per 10, viene costretta a produrre 30 litri al giorno contro i 3 che produrrebbe in natura. Passati due o tre mesi dal parto la mucca viene rimessa incinta (l'inseminazione è sempre artificiale) in modo che la produzione di latte non si fermi mai. Anche la dieta viene spesso mutata in base alle esigenze produttive e spesso vengono somministrati degli ormoni. Le mammelle piene di una mucca possono arrivare a pesare anche 50 kg., ciò causa molto dolore e difficoltà a camminare. La stessa vita si riduce dai 20 anni che vivrebbe in natura ad una media tra i 3 e i 7 anni dove malattie (36%), scarso prodotto (28%) e inabilità a procreare (36%) vengono ritenuti motivi sufficienti per sopprimere l'animale. Una critica spesso rivolta ai vegetariani / vegani riguarda il fatto che nonostante l'adozione di una simile dieta da parte di alcuni individui, il problema dello sfruttamento animale rimarrà. "A parte la vigliaccheria di un atteggiamento del genere, volto più a giustificare la propria inattività che altro, tali frasi (che equivarrebbero a dire "non posso evitare che al mondo esistano guerre quindi continuo a comprare armi") sono il riflesso del modo in cui gli animali vengono considerati nella nostra società: e cioè come oggetti e non come esseri viventi. Il sottrarsi al consumo di carne e prodotti derivati implica direttamente che per il proprio sostentamento non vengono uccisi ulteriori animali. Un risultato di non poco conto direi." La tesi per la quale l'uomo sia onnivoro, e quindi anche carnivoro, viene spesso messa in discussione. L'organismo umano, a differenza di quello dei carnivori, non è adatto al consumo di cadaveri di animali in quanto ne rimane intossicato a causa delle sostanze contenute nella carne. Per ovviare questa tossicità i carnivori cercano di espellere il più velocemente possibile la carne attraverso un intestino che, contrariamente a quello umano che è pari a 12 volte, è lungo appena 3 volte la lunghezza del corpo. Inoltre, le mucose spesse e muscolose dei carnivori riescono a tollerare i forti succhi gastrici necessari alla digestione della carne mentre l'essere umano ne rimane danneggiato. L'uomo appartiene all'ordine dei primati antropomorfi per natura frugivori e cioè atti a consumare frutti, foglie e semi. Assunto confermato dalla neurofisiologia, dall'embriologia e dall'anatomia comparata. Sprovvisto di elementi di offesa l'uomo non è naturalmente portato alla caccia. La sua intelligenza gli ha permesso però di sviluppare attrezzi e mezzi coi quali assoggettare gli animali, abilità che gli ha permesso la sopravvivenza, passando al consumo di carne, nei periodi di forti glaciazioni, siccità, alluvioni ed altre calamità naturali.
L'immissione della carne nella dieta dell'essere umano fu quindi probabilmente un fattore di necessità e sopravvivenza. Tale incompatibilità del fisico umano al consumo di carne non è però immune da gravi danni per l'organismo. Il consumo di carne infatti provoca diverse malattie quali cancro, disturbi cardiaci, obesità, impotenza, diabete e via dicendo. Ciò incide significativamente anche sulla durata media della vita. "Oggi solo gli esquimesi restano un popolo carnivoro per necessità assoluta. Essi consumano non solo la carne ma anche gli organi interni e le interiora e bevono il sangue. La durata media della vita di questo popolo è di 25-30 anni. Muoiono vittime della arteriosclerosi causata dall'alimentazione carnivora." Oltre che problemi di salute l'adozione di una dieta vegana da parte di tutta la popolazione potrebbe contribuire a risolvere il problema della fame nel mondo. Un'affermazione che potrebbe apparire azzardata ma che viene confermata dai numeri. "Se destiniamo un ettaro di terra all'allevamento bovino otteniamo in un anno 66 kg di proteine; se invece ci coltiviamo la soia abbiamo un raccolto di 1848 kg di proteine: 28 volte in più!" L'allevamento di animali comporta l'utilizzo di grosse quantità di vegetali di cui la maggior parte delle proteine e dell'energia servono a sostenere il metabolismo dell'animale che quindi non si trasforma in tessuti commestibili. Vi è di conseguenza una enorme perdita di risorse determinata dall'obiettivo degli allevamenti intensivi di ottenere sempre più carne e quindi allevare sempre più animali. L'adozione di una dieta vegan da parte di tutti riporterebbe gli animali da allevamento ad una condizione di sviluppo naturale, e non industrializzata come si descriverà più avanti, e permetterebbe di soddisfare l'intero fabbisogno alimentare mondiale. "Tre miliardi di persone soffrono in condizioni di estrema povertà e 13 milioni di uomini, ogni anno, muoiono di fame; altrettanti muoiono invece per le malattie causate da un eccessivo consumo di carne. Si calcola che sulla terra ci siano 15 miliardi di capi di bestiame allevati dall'uomo. I paesi industrializzati impiegano ben 2/3 della loro produzione cerealicola per l'allevamento del bestiame e si accaparrano le terre migliori del terzo mondo per coltivare cereali destinati agli animali d'allevamento (36 dei 40 paesi più poveri del mondo esportano cereali negli Stati Uniti dove il 90% del prodotto viene utilizzato per nutrire gli animali destinati al macello). Se tutti i terreni coltivabili della terra venissero usati esclusivamente per produrre alimenti vegetali, si potrebbe sfamare una popolazione 5 volte superiore a quella attuale: verrebbe quindi risolto il problema della fame nel mondo."
3.3.2. Allevamenti intensivi e sfruttamento animale
Affine a quella che potrebbe essere definita come un'ottica biocentrista della vita, il motivo che principalmente spinge gli animalisti ad adottare un tipo di alimentazione vegetariano o vegano è il rifiuto per la brutalità con la quale l'industria alimentare tratta gli animali. "Essere vegetariano per me non è un problema, in quanto per me la carne non è cibo." Non si tratta di una semplice richiesta di un trattamento più "umano" (aggettivo sempre meno visto come nobile e sempre più riconosciuto come sinonimo di orribili azioni) all'interno degli allevamenti, ma della loro eliminazione totale. La richiesta di carne è aumentata sempre più esponenzialmente dagli anni Cinquanta in poi a seguito della crescita economica e dell'aumento del benessere nell'occidente industrializzato. La enorme richiesta di cibi carnei che ne è derivata è alla base dello sviluppo degli allevamenti intensivi che al giorno d'oggi sono le strutture che soddisfano gran parte del mercato. L'unico scopo di queste strutture è il profitto, scopo che è direttamente proporzionale all'abbondanza di carne che riescono a produrre. Di conseguenza ogni aspetto della vita di un animale "da carne", "da uova", "da latte" o altro è posto sotto attento controllo, tanto che l'animale è letteralmente inserito in una vera e propria "catena di montaggio" completamente al di fuori dei suoi cicli naturali. Tutta la sua vita, infatti, si svolge all'interno dell'edificio dell'allevamento e non conosce mai il contatto con l'esterno. Gli animali vengono costretti in gabbie singole dove lo spazio disponibile è talmente ridotto da eliminare qualsiasi possibilità di movimento. Gabbie che spesso hanno come pavimenti delle grate che sul lungo periodo danneggiano loro gli arti. La limitazione dello spazio ha un duplice scopo: sia la possibilità di sfruttare al massimo la struttura, sia far sì che, costringendoli ad una vita sedentaria, gli animali ingrassino di più. L'ambiente stesso è controllato: luce, temperatura e umidità sono regolati in base alle esigenze produttive dell'allevamento. L'alimentazione non risponde alle esigenze delle diverse specie di animali ma alla capacità di ingrasso fornita. Ingrasso che è ricercato anche attraverso la somministrazione di ormoni e sostanze di sintesi.
Lo scandalo della "mucca pazza" ne fu uno degli effetti più rilevanti provocato proprio dalla somministrazione di mangimi di derivazione animale ad erbivori. Le orribili condizioni nelle quali gli animali sono costretti a vivere provocano in essi patologie sia fisiche sia psicologiche: vengono quindi somministrati diversi tipi di farmaci che si aggiungono alla pratica di privare l'animale dei propri strumenti di "offesa", come le corna ad esempio, in modo da evitarne il suicidio come già avvenuto in passato. Anche il viaggio verso i luoghi di macellazione riserva ulteriori gravi sofferenze: i mezzi di trasporto sono riempiti all'inverosimile ed i viaggi, che durano giorni, conoscono un'alta mortalità. Molti animali, infatti, privati di acqua e cibo, indeboliti dalla vita nell'allevamento e dalla mancanza d'aria nei camion si accasciano sul pavimento pieno di letame e muoiono schiacciati dei propri simili. Giunti a destinazione vengono spinti a bastonate e scosse elettriche verso le stalle di premacellazione a da qui nel cosiddetto "tunnel della morte". Lo stress del viaggio, il ritrovarsi in una situazione completamente nuova, il forte odore di sangue e feci unito alle urla degli animali già entrati nei locali di macellazione scatena panico e resistenze. Bovini, ovini ed equini vengono storditi con una pistola detta captiva che buca il cranio dell'animale, mentre per i suini viene usata l'elettricità. Altri animali come polli, conigli e altri volatili viene omessa la pratica dello stordimento (omissione che la legge autorizza per qualsiasi animale). Infine si passa alla "giugulazione" (sgozzamento) che paradossalmente è la meno dolorosa. L'allevamento intensivo è responsabile anche di gravi disastri ambientali. L'industria alimentare è direttamente responsabile di gran parte dei disboscamenti attuati per creare nuovi pascoli o coltivazioni intensive atte a supportare l'enorme fabbisogno degli allevamenti intensivi, ove è bene non dimenticare che gli animali sono costretti tutta la vita in gabbia e l'unico movimento che faranno è quello in direzione degli istituti di macellazione. "Nella foresta Amazzonica l'88% dei terreni disboscati è adibito a pascolo e dal 1960 un quarto delle foreste dell'America centrale sono state abbattute per creare spazio agli allevamenti." Gli stessi allevamenti intensivi, in particolare l'industria casearia, appaiono essere i principali responsabili dell'inquinamento mondiale. Tali allevamenti producono migliaia di tonnellate di letame e residui ogni anno. Scarti che l'ecosistema non riesce ad assorbire e che quindi si riversano su fiumi, terreni e laghi creando enormi danni e inquinamento per l'ambiente. "Il contributo degli allevamenti all'effetto serra è pari a quello dato da tutti gli autoveicoli del mondo. Se per ottenere un chilo di farina è necessario utilizzare 22 grammi di petrolio, per un chilo di carne occorrono 193 grammi: quasi nove volte tanto."
3.3.3. Vivisezione
Il movimento DiY vanta una vasta produzione di materiale a favore del vegetarianesimo e veganesimo. Spesso molte pubblicazioni, anche musicali, trattano l'argomento riportando un consistente numero di informazioni su più argomenti connessi all'animalismo. Oggetto di attenzione non è la semplice industria alimentare. Lo sfruttamento animale riguarda moltissimi campi industriali in particolare quello farmaceutico e cosmetico principali responsabili di un'altra pratica energicamente osteggiata: la vivisezione. La vivisezione costituisce un modello sperimentale, regolato da una anacronistica legge del 1931, che dovrebbe garantire la sicurezza di nuovi farmaci o di nuove sostanze immesse sul mercato. "Il termine (sperimentazione animale) si applica a tutte le sperimentazioni compiute su esseri viventi, atte a causare sia sofferenze fisiche sia psichiche: mutilazioni, interventi cruenti (dove l'anestesia prevista per legge è molte volte sostituita dalla recisione delle corde vocali), somministrazione di dosi massicce di sostanze tossiche, ustioni, scosse elettriche, decerebrazioni." La vivisezione è pratica largamente usata da più branche dell'industria moderna e non solo quella farmaceutica che ne assorbe solo il 30%. Il restante 70% riguarda test per prodotti cosmetici (rossetti, deodoranti, dopobarba e via dicendo), industriali (detersivi, olio per motori, inchiostri, fluidi anticongelanti), bellici (gas nervini, radiazioni, nuovi proiettili) e studi di psicologia. La sperimentazione animale è considerata un grave errore metodologico non solo dagli animalisti ma anche da parte di molti scienziati. Innanzi tutto la vivisezione è considerata come una pratica eticamente inaccettabile. La questione, infatti, verte non sul fatto se gli animali possano ragionare o parlare, quanto piuttosto sul fatto che essi soffrono enormemente delle atroci torture subite dai vivisettori. "Crudeltà, sopraffazione, conformismo, avidità, insensibilità, spietatezza sono l'antitesi del concetto di civiltà, intesa nel senso più alto del termine, soprattutto quando le vittime sono gli esseri più indifesi.
Ormai appare sempre più evidente che gli animali non possono più essere considerati come organismi, come macchine da utilizzare, come oggetti, ma come soggetti, invece del diritto alla vita, alla non sofferenza, al rispetto." Ciononostante per molti questo sacrificio rimane indispensabile per il bene dell'umanità. Anche questo assunto può essere facilmente confutato in quanto la vivisezione è inaccettabile anche da un punto di vista scientifico. Essa è un errore metodologico in quanto nessuna specie animale può fungere da valido referente per qualsiasi altra, uomini compresi. Simili agli esseri umani nella percezione del dolore, della disperazione e della paura, gli animali differiscono dall'uomo (e tra specie e specie) per quel che riguarda la struttura fisica, biochimica e i meccanismi di assimilazione. Essendo poi pratica di laboratorio essa trascura le differenze fra malattie naturali e artificiali confondendo spesso il sintomo con la malattia vera e propria. Inoltre essa trascura anche gli effetti di un ambiente naturale su un organismo vivente. La sperimentazione animale così largamente usata in medicina e cosmesi "vanta" una lunga storia di complicazioni (e addirittura decessi) causate da farmaci sperimentati con successo su animali e che si sono poi rilevati dannosi e pericolosi per gli uomini. La vivisezione (dietro la quale si celano gli interessi, nell'ordine di miliardi di dollari, delle multinazionali farmaceutiche, cosmetiche e industriali, degli allevamenti di animali da laboratorio e dei vivisettori stessi) quindi non fornisce alcuna garanzia valida ed anzi espone l'uomo a gravi rischi e conseguenze. L'inaffidabilità e inefficacia della sperimentazione animale fa si che, una volta immesso nel mercato il prodotto, sia l'essere umano stesso il vero banco di prova di medicinali e cosmetici e l'insorgere di gravi patologie sull'uomo, a seguito della somministrazione di molti farmaci sperimentati su animali, ne è un'ulteriore conferma.
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