CONCLUSIONI

Festa del rumore

MAKE SOME FUKING NOISE!

Il free party, progetto di rave gratuito, apparve storicamente come una conseguenza della difficoltà di organizzare una festa basata sulla musica techno. Mentre la maggior parte del movimento techno è animata da un desiderio di inserirsi nella società, il free party testimonia al contrario una resistenza all'istituzionalizzazione e alla mercificazione. Uso qui la parola free party contrariamente alla parola rave per accentuare la distinzione tra feste in discoteca e feste libere e illegali. Disseminati in tutta Europa, i free party techno danno vita a feste funzionanti su principi nettamente distinti di quelli stabiliti dalla cultura dominante. A fianco, anzi contro la società, seguendo il grado di repressione di cui essa li fa oggetto.

Il rumore è messo in primo piano in questa analisi finale e conclusiva sul free party, per mettere in evidenza la posizione radicalmente conflittuale che questa corrente della musica techno occupa nella società attuale. Il rumore è per prima cosa vettore di un'idea di trasgressione delle regole comuni, quanto un punto di conflitto estetico.

Prima di affrontare il soggetto, è necessario ritornare al preliminare dalla situazione attuale della musica techno nella società italiana. Il movimento è in via di mediatizzazione, soprattutto da quando è stato emanato nella vicina Francia un emendamento alla "LSQ" (Loi de Securité Quotidienne), la cosiddetta "legge Mariani", che, come reazione alla repressione di questi eventi e alla relativa confisca del materiale, sta provocando la fuga delle tribes francesi in territorio italiano, come successe nel 1994 dopo il varo del "CJA" (Criminal Justice Act). In Francia la forte mediatizzazione del movimento, la posta in gioco importante che rappresenta per il suo pubblico, i media, le autorità e le imprese commerciali fanno si che tutti, direttamente coinvolti o no, abbiano un opinione formata in merito. In Italia il movimento è al suo zenith, prossimo alla visibilità pubblica. In pericolo di morte grazie alla sua imminente e possibile massificazione.

Ma come la techno ha potuto essere all'origine di un nuovo tipo di festa fuorilegge? Tutto è partito da una musica creata da tre neri americani di Detroit, l'eccentricità dei quali ha consistito a fondere delle musiche danzanti e non danzanti, elettroniche e strumentali, nere e bianche, europee e americane, in un contesto urbano devastato dall'industria. Allo stesso tempo, una lassitudine per la musica rock, troppo integrata nella società predispone il suo pubblico tradizionale a dei profondi cambiamenti.

La techno e la House sono americani. Il rave è europeo. Negli stati uniti la musica è profondamente legata al suo pubblico, confinata dopo dieci anni ad una minoranza etnica e sessuale, a causa della particolarità della compartimentazione della società americana, mentre in Europa, la techno conosce un'esplosione popolare rapida.

Dall'inizio del movimento, un nuovo tipo di droga è abbondantemente consumato nell'ambiente della techno, questo provoca la reazione delle autorità. Chiusura dei clubs, pressione sul movimento techno, assimilazione della musica alla droga. Un arsenale legislativo è dispiegato nel regno unito per lottare contro il consumo delle droghe sintetiche in piena espansione. I clubbers sono troppo entusiasti per lasciarsi proibire questi nuovi piaceri, e perseguono la festa fuori dalle città: nei raves. Là incontrano i travellers (marginali nomadi), gli squatters espulsi e altre tribù urbane marginali, in un grande slancio di protesta contro le leggi inglesi. Queste leggi quindi hanno avuto come risultato l'effettiva unione dei movimenti che prima di allora condividevano solo pochi valori comuni.

In margine o contro la società? Il rave è stato inventato in reazione contro la proibizione della techno nei clubs. La loro chiusura, la loro regolamentazione, impediva alla festa techno di prendere tutta la sua espansione, di svilupparsi fino all'alba nel seno della città. La legge, il giudizio morale della cultura dominante pose tutto il suo peso su questo nuovo sabba. La rivendicazione dei ravers esprime molto prosaicamente un desiderio edonista, fare la festa liberamente, senza concettualizzazione ideologica, senza partito preso politico. La situazione dei rave italiani e francesi è in larga parte risultante dalla politica inglese di repressione dei raves clandestini. La Spiral Tribe ha deciso di esportare sul continente il concetto di free party techno clandestini, autonomi, illegali e hardcore. Il governo inglese ha represso subito il movimento techno, rilasciando di seguito la pressione sui clubs e i grossi raves commerciali mentre gli organizzatori di raves clandestini non hanno mai cessato di essere perseguiti. In Francia le autorità hanno impiegato più di 5 anni a fare la differenza tra i free parties e i raves commerciali, questo ha inizialmente penalizzato gli organizzatori che chiedevano le autorizzazioni e favorito l'espansione dei raves clandestini. Quando la discriminazione ha cominciato a manifestarsi, i free parties avevano già preso un ampiezza considerabile in Francia, per esempio con il teknival del maggio 1998 a Melun che ha riunito intorno alle quindicimila persone nel corso di tre giorni. Era difficile a quel punto stoppare il movimento. Il governo italiano non ha ancora cominciato ad occuparsi seriamente dei raves illegali in Italia, ma la repressione di questi in Francia porterà all'espansione e alla massificazione del movimento illegale italiano e all'espatrio delle ultime tribes francesi che ancora non sono fuggite nella vicinissima Italia, esattamente com'è avvenuto l'espatrio delle tribes inglesi in Inghilterra.

I free parties sono un rituale altro; altro pubblico, altra musica. Per penetrare nell'universo dei free parties, bisogna entrare in una rete, apprendere alcuni codici per non restare esclusi, increduli e delusi.

Esauriti i chiarimenti è possibile tornare alla metafora del rumore per illustrare il fenomeno rave e i suoi effetti sulla società, partendo quindi dalla musica.

La prima caratteristica del rumore, è di non essere desiderato. In virtù dei rapporti di opposizione inerenti a tutta la società, se non è desiderato dalla maggioranza delle persone, il rumore ha tutte le possibilità di essere desiderato dalla minoranza, da chi sta ai margini, da chi si allontana dalla maggioranza omologatrice. La musica techno è stata presentata in maniera negativa dai mass-media durante la prima metà degli anni '90. Musica che istupidisce, ripetitiva, automaticamente prodotta dalle macchine, incitante al consumo di droga; musica anonima, poco creativa, commerciale; musica per la gioventù dorata, musica per neo-nazisti, musica degli omosessuali, ecc. la techno era dunque uno strumento per altre cose, una metafora dei mali della società. Essa è stata in ogni caso lo sfogo di molti commentatori. La stampa rock non è stata l'ultima a denigrare una musica senza gruppo, senza concerto, senza chitarra, basso, canto, né batteria. Incomprensibile, incompatibile con il formato della musica popolare, senza messaggio verbale e dunque a priori spogliata di ruolo sociale o politico. La musica techno, la sua forma, le sue sonorità, i suoi metodi di composizione, di diffusione, di consumo e di ascolto hanno fuorviato gli specialisti della cultura "giovane". Di fronte al linguaggio musicale inedito, senza ritornello, senza nome d'autore, interamente strumentale, spesso senza melodia o armonia, il commentario esogeno si è trovato in panne d'ispirazione.

E' assurdo oggi opporre il rumore alla musica, tracciare un limite universale tra i due, come è assurdo ridurre l'estetica allo studio del bello. Il rumore non si esprime unicamente sul piano musicale: è funzione del gusto individuale, del giudizio di valore; opinioni costruite e determinate da fattori debordanti la sfera propriamente artistica. La techno è una musica, dunque un rumore. È un rumore soprattutto per la sua capacità di scaldare le orecchie degli uni, entusiasmare gli altri, e, indipendentemente dall'aspetto estetico, perché perturba l'ordine sociale. Il rave, il suo principale luogo di diffusione, concentra in esso i principali punti conflittuali, in particolare per il soggetto di questa tesi: il rave illegale - il free party. Sia un consumo importante di droghe, una insicurezza dei luoghi (perché nessuna commissione di sicurezza va ad omologare i capannoni occupati), un non-rispetto della legislazione sul diritto di autore, sulla vendita di bevande e la proprietà privata, un'economia parallela, nomadismo e marginalità. Queste pratiche incontrollabili, antisociali, irritanti per i poteri pubblici, sono secondo i punti di vista infime o generalizzate. Sono in ogni caso definitivamente associate al movimento techno. L'irritazione è percepita come un rumore indipendentemente da tutte le considerazioni estetiche. Paradossalmente, per un rovesciamento di valori, il rumore è diventato una categoria estetica per alcuni musicisti dell'ambiente dei free parties, lo dimostra la proliferazione di artisti e di sound systems dai nomi "rumorosi": irritant, infekt, noiscreator, corrosive, desert storm, tomahawk, tellurik, chaos, furious, TNT, altered beats, kernel panik,ecc.

Rumorosa perché si allontana dalla norma delle musiche socializzate, integrate nella loro produzione e consumo, la techno emette un suono sporco, tonante, metafora dei luoghi che essa abita per qualche ora: hangars abbandonati, testimoni di un'attività intensa ma al momento fantomatica. Il suono riappare temporaneamente negli spazi un tempo chiassosi di un'attività industriale, che ha sporcato durevolmente gli spazi occupati. La techno appare come un'eco ironica alla produttività dell'industria inquinante. La musica techno evoca il rumore ripetitivo delle macchine, l'antimusicalità dei suoni della fabbrica è rielaborato con uno spirito di riciclaggio, sempre operato con delle macchine, ma con un nuovo senso. Il rumore della macchina ha ora un'anima, è abitato dallo spirito umano e partecipa alla festa. La ripetitività delle macchine è diventata strumento di piacere dei danzatori nomadici del free party.

Il pubblico della techno è in gran parte derivante dalla cultura rock, e il passaggio dall'una all'altra non ha niente di evidente. Il rock riposa su delle strutture impregnate da tutta la musica popolare occidentale. Voci, parole, senso, linguaggio al quale è stato necessario disabituarsi per sostituirvi un continuo astratto fortemente ripetitivo. Il carattere tonale e a volte modale del rock dà all'orecchio dei reperti di autore che sono assenti dalla rumorosa techno dei free party, reticente alla melodia. Qualche tipo di musica ha preparato questo passaggio, dal rock planando verso l'elettronica alla musica industriale astratta e non melodica, passando per il groove delle musiche nere-americane, basato sulle sottili sincopi ripetitive inducenti il movimento. Il pubblico gay è stato convertito da molto tempo alla musica elettronica, e prima di loro i neri.

Tenendo conto delle norme sanitarie e al di fuori da tutte le considerazioni filosoficho-estetiche, la musica techno è rumorosa. Il livello sonoro davanti alle casse supera allegramente la soglia del dolore: nessuno accetterebbe oggi di lavorare in tali condizioni. Nei rave la durata di esposizione al rumore è molto lunga. Il rumore è diventato una qualità, più è forte meglio è. I decibel rompono i timpani per la più grande soddisfazione dei danzatori incollati alle casse, con la testa nei bassi per un massimo di sensazione fisica. Il raver non si cura della soglia di dannosità del suono e spesso più sound system uniscono i loro impianti sonori per creare muri di casse più grandi dentro i quali perdersi nella potenza del suono. Nei teknivals non è difficile trovare più sound system montati l'uno di fianco all'altro. A equidistanza tra due suoni, l'ascolto è spezzato in due, un'orecchia a destra e una sinistra. È impressionante ascoltare più sound insieme, e ci si lascia rapidamente catturare dall'uno o dall'altro avanzando verso la fonte del suono: il muro di casse. Non esiste il centro ad un teknival, il rumore arriva da più fonti e non si può scappare da esso, chi si allontana dalla base continua a sentire la musica a centinaia di metri di distanza. Intorno, uscendo dal capannone o allontanandosi dalle casse, si lascia alle spalle il muro del suono e si può nuovamente percepire il mormorio acuto delle voci delle persone, il rumore dei passi, delle attività, tutti i suoni anodini si manifestano di nuovo alle orecchie, i suoni della vita ordinaria. Ma ormai il raver è contaminato dai suoni e dal tempo non ordinario. La ripetizione regolare (ma la regolarità può a volte anche essere spezzata dai DJ più sperimentali) della pulsazione è il filo conduttore al quale il raver si accosta. Il nuovo cuore è subito adottato, poi diventa indispensabile, incarnante la pulsione vitale, simbolizzante l'energia e la potenza temporale della techno e del rave. Il cuore della festa.

La techno dei free parties contiene una promessa espressa musicalmente al raver: fare la festa senza interruzioni in opposizione e contro tutto. Oggi i tempi delle feste hanno subito una mutazione inedita. Un free party comincia al più presto a mezzanotte e finisce il più tardi possibile, quando la polizia non lascia più altre scelte ai ravers che quella di andarsene. Le forze dell'ordine sanno che tutto sta nel suono, se sequestrano l'impianto possono far terminare un rave. Tutto dipende dal rapporto di forza, dalla determinazione degli organizzatori e dei ravers. Si tratta di dilatare la festa nel tempo, di ritualizzarla, di ripeterla, e tutto ciò non può che perturbare le abitudini sociali. Nata quindi con un impulso edonista, la festa rave nel tempo si è trasformata e radicalizzata e ha imposto un mutamento anche nel modo di vita e nel pensiero dei frequentanti più assidui.

Perché chi vuole lasciarsi condurre fino all'ultima pulsazione sceglie un ritmo di vita incompatibile col modello dominante proposto dalle nostre società occidentali. Un tale individuo non quadra col progetto di una società fondata sulla produttività crescente del lavoro. C'è senza dubbio un rapporto tra l'ostruzione massiccia per la techno e la house in gran Bretagna e la legge votata nello stesso momento sotto il governo Thatcher che obbligava i club a chiudere alle due di mattina. I clubber si sono allora massicciamente trasformati in ravers, troppo ben disposti a festeggiare la techno per ottemperare. È la musica techno che ha scatenato entusiasmo per una nuova forma di festa, divenuta rave per forza di cose.

Uscita dal centro delle città, la techno ha aperto un vorace appetito di libertà in tutte le dimensioni: temporale, spaziale e politico, perché la clandestinità dell'organizzazione e del consumo urta con la legislazione, perché le identità dei partecipanti sono messe in moto ed è impossibile fissarle o collocarle in una categoria.

Il rave è una delle più creative e anche drammatiche condizioni giovanili - per quanto possa valere il termine "giovane" al giorno d'oggi, quando la categoria di giovane si estende senza tempo e ogni individuo può percepire la propria condizione di giovane come non terminata - che ci avvicina a cogliere la crisi irreversibile del politico. Politico come universo fissato dentro il contesto storico e sociale del moderno, con le sue categorie universali, le sue dialettiche sintetiche, le sue organizzazioni verticali, le sue utopie totalitarie, le sue dicotomie sociali, sessuali, generazionali, che hanno fatto una fine parallela alle fabbriche tayloriste: sono diventati aree dimesse. Aree dimesse del pensiero e della praxis, che per la forma tradizionale di della politica costruita sul sociale rimangono del tutto invisibili e incomprensibili. Il rave è terreno di disobbedienza identitaria rispetto alle linee esistenziali imposte, così come è rottura del modello tradizionale di intendimento della musica.

Le condizioni di percezione della musica techno rompono col rituale del concerto, nocivo per ragioni di protocollo sociale, dalle pressioni dello spettacolo e dalla passività totale del pubblico, alla qualità di ascolto del pubblico. Tutti i mezzi adoperati nell'organizzazione del rave mirano a provocare una rottura. Per astrarsi volontariamente, gratuitamente, da una vita sociale regolata, tracciata, per vivere qualcos'altro. Il rapporto di intimità tra l'ascoltatore e la musica incarna un ideale oggi possibile grazie ad una mediazione tecnologica sofisticata e invisibile. Nel free party la musica techno regna senza condizioni. Quale che sia l'occupazione del raver (danzare, riposarsi, discutere), la musica è presente dappertutto. Non è più solo un requisito, un pretesto, un elemento tra altri. La techno è una dimensione in se stessa della festa. Tutto ciò che avviene è attraversato dalla musica. La si ascolta dappertutto, molto forte, e senza la minima pausa. Ci si rende conto quando si ferma, l'assenza di musica svuota completamente i luoghi e i ravers se ne vanno lentamente, lasciando un grande vuoto: l'atmosfera cambia completamente. Lo spazio tutto intero vibra di musica. Le genti sono animate dalla musica, si può vedere l'azione della techno, non si vede direttamente il suono ma i suoi effetti sono evidenti all'occhio. Il tempo è ritmato, derealizzato dalla continuità creata dalla techno. La pulsazione simbolizza un rumore di orologio di cui la sovranità condiziona un temporalità estranea al quotidiano, una temporalità più umana, naturale e consona al ritmo delle relazioni faccia a faccia. Il movimento meccanico metaforicamente indotto dalla ripetizione di un'onda choc di bassa frequenza. La musica techno non opera delle scelte tra festa e musica, l'una non va senza l'altra. Mentre i concerti di musica classica produco una rottura estrema tra la scena e la sala, il carattere festivo del rave abolisce la suddivisione dei rapporti uditore/musicista, attivo/passivo: non esistono gerarchie, né pubblico, al rave si partecipa, non si guarda da lontano. L'opera, per esempio, mostra il comportamento più estremo sulla scena tanto che il pubblico è costretto a stare immobile e muto per un periodo molto lungo.

Ritorno e ripetizione nella storia. La musica è ritornata sulle strade. I sound system si spostano attraverso i paesi per organizzare free parties proibiti e clandestini. Niente a che vedere col musicista in tournée, che produce nelle sale già equipaggiate e dedicate ai concerti. Il rumore del free party è nomade, selvaggio, tribale.

"A figura inversa della canalizzazione politica, sotterranea, inseguita, perseguitata, una musica sovversiva si è sempre mantenuta; una musica popolare, strumento di cultura estatica, superamento della violenza non censurata: rito dionisiaco in Grecia o a Roma, al quale si aggiungono altre culture venute dall'Asia Minore. La musica qui è il luogo della sovversione, trascendenza del corpo. In rottura con le religioni e i poteri ufficiali, questi riti raggruppano, nelle radure o nelle grotte, dei marginali: donne, schiavi emigrati. La società li tollera a volte, o prova ad integrarli nella religione ufficiale; ma di tanto in tanto, li reprime brutalmente" (Jacques Attali,1977, pag.27-28)

Chiedere l'autorizzazione vuol dire pagare: lo stato domanda denaro per la commissione di sicurezza, e una tassa fiscale sulle vendite di bevande e sul costo dell'entrata, più la SIAE. Spese che non possono essere coperte con una gratuità totale del party. La pressione finanziaria esercitata dallo stato spinge gli organizzatori a rientrare in una logica commerciale. Il free party prende in contropiede le logiche del consumo:

"la musica, godimento immateriale divenuto merce, annuncia una società del segno, dell'immateriale venduto, del rapporto sociale unificato nel denaro"(Attali, 1977, pag.8).

La rivolta globale contro la società passa da un rifiuto di ciò che regge lo scambio delle merci e la logica del mercato. Pagare per fare la festa, è degradare la fonte del piacere, mettersi in posizione di inferiorità in rapporto a chi dispensa piacere, dunque ricondurre un modello gerarchico contrario alla tabula rasa che è l'obiettivo nascosto, mascherato del free party.

In un free party e ancora di più in un teknival, il carattere clandestino dell'avvenimento disinibisce ogni comportamento. Niente polizia né servizio di sicurezza per gestire i rapporti tra i partecipanti ma solidarietà e tolleranza. La repressione ha paradossalmente unito, ha avuto un effetto contrario a quello auspicato; e la polizia inglese ha dovuto ricorrere a dei mezzi molto importanti per domare il fenomeno dei raves clandestini. Alcuni commentatori (1) non esitano a dare all'ecstasi un potere di empatia sufficiente per eliminare barriere sociali e culturali tanto solide quanto quelle che separano gli hippies dai punks, i protestanti dai cattolici in Irlanda del Nord (2), gli omosessuali e gli eterosessuali. Io credo invece che le barriere sociali siano state abbattute dal senso di appartenenza a questa nuova tribù creata dal patchwork e dall'eredità di tutte le vecchie controculture mescolate. Nei raves nasce un atteggiamento critico. La critica formale e ideologica mossa alle istituzioni da promotori e ferventi si è tradotta, nei ravers, in un rifiuto pratico: abbandono, fuoriuscita, nomadismo (più mentale che fisico, nella realtà dei fatti), nell'illegale consumo del tempo libero invece che adesione a correnti partitiche. Tutto ciò significa contrapporsi, sfidare il sistema ma su un altro terreno forse perché si nutre troppa sfiducia verso i metodi di lotta politica tradizionali. È importante notare che le decisioni politiche, al giorno d'oggi, vengono prese sempre più spesso al di fuori dell'arena politica tradizionale. Il potere economico, sembra avere ormai assunto una posizione di predominio sulle altre forme di potere sociale: il potere ideologico e politico. Nel momento in cui il potere politico è ormai totalmente soggiogato da quello economico, le decisioni vere non sono più prese liberamente nell'arena politica dove risiedono i "rappresentanti del popolo" ma all'esterno. Da questo non può che scaturire una profonda sfiducia verso le istituzioni tradizionali e verso i tradizionali metodi di partecipazione (partecipazione elettorale, mobilitazione.). L'unica via praticabile sembra quindi quella di combattere sullo stesso terreno ovvero evitare lo scontro diretto e giocare di astuzia. I partecipanti degli illegali sembrano aver scelto la fuga, la defezione che risulta esperibile solo quando la protesta, condotta su basi tradizionali, sia ormai fallita. Fuga non vuol dire lassismo ma la scelta di portare la lotta a livello estetico e simbolico. L'ideologia della festa, sembra, da un lato, aderire completamente alla scelta della fuga verso l'altrove mentale e, dall'altro, sperimentare un nuovo modo di protestare in quanto l'occupazione e l'aggiramento delle regole (sul copyright, sulla proprietà, ecc.) è un crimine, un crimine dimostrativo ai danni della credibilità dello Stato come garante dell'ordine. La scena rave illegale italiana ha una connotazione politica fortissima proprio perché è completamente apolitica. È tanto apolitica da non essere ben vista neanche dagli esponenti dei centri sociali che vedono nella militanza e nella protesta l'unico canale di manifestazione del proprio dissenso.

(1): Vedi Ian McKay: outlaw dancefloor , http://homepages.tcp.co.uk/-mckay/

(2): Nicholas Saunders: <http://www.ecstasy.org/ireland.html>

Il disordine essendo movimento non deve essere visto come un momenti di devianza da riassorbire prontamente dalla società istituzionale (in quanto la sua esistenza ne minaccia le basi) quanto uno spunto al cambiamento, una volontà di produrre un ordine nuovo che rifletta lo spirito del presente e non quello tradizionale.

Il decondizionamento operato dalla potenza della musica techno abitua l'individuo a non sentire più nient'altro, questo crea spaesamento dell'ambiente sensoriale e predispone a stati di coscienza modificati. Dal momento in cui si entra nello spazio di una festa, i partecipanti vengono trasportati dal suono, la sui potenza, in media di 30-40 chilowatt per un'ampiezza di 2000 metri quadri, è fondamentale. Essi vengono proiettati in una totalità creata dalla musica, dalle luci, dai video e dalla folla dei danzatori. La musica techno sconvolge i corpi e strappa gli individui dalle mani del tempo , che assume un'altra densità, e dalla loro esistenza ordinaria. Il gioco delle luci, dei fumogeni e delle strobo modifica la loro percezione abituale dello spazio , delle distanze e dell'altro. Tutto ciò provoca disorientamento per chi è disposto a lasciarsi andare. Ci si vede muovere a una velocità che non è quella che si ha ordinato al proprio corpo. Si prende l'abitudine a non sentire ciò che si vede, a fare affidamento sulla vista per valutare la realtà sensibile. Ma la violenta luce bianca delle luci stroboscopiche disturba lo sguardo, affatica gli occhi rapidamente e così bene che si rinuncia a conservare l'attenzione che si porta abitualmente all'ambiente fisico circostante. Molti ravers sono bramosi della percezione corporale del suono e si incollano alle casse a pericolo del loro sistema uditivo, infilano la testa vicino ai coni delle casse per sentire i suoni gravi che fanno vibrare le viscere, solleticano gli organi, facendo nascere delle sensazioni inedite e piacevoli.

Nelle basse frequenze, il suono e il tatto sono fisicamente associati e un'era che insiste sugli infrasuoni come la nostra, fonde le sensazioni in una maniera inaudita. Nella musica popolare, l'ascolto è spesso sinonimo di tatto. E sono certa che nei luoghi dove la concentrazione di persone è più intensa, la musica serve da collante sociale. Si tratta di re-tribalizzazione, anche i popoli aborigeni dappertutto nel mondo hanno suonato musica, e i corpi dei suonatori di tamburo e dei danzatori entrano spesso in contatto. "MAKE SOME FUCKING NOISE!" è lo slogan di Mark Harrison, uno dei membri fondatori della Spiral Tribe, il sound system inglese che ha evangelizzato l'Europa intera e convertito milioni di ravers al free party.

(a betty)

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