... continua capitolo terzo
3.4 ILLEGAL E UNDERGROUND
L'immaginario dei ravers unisce i simboli, il tempo, le religioni, esalta un futuro utopico. Già vi si legge l'abbozzo di un nuovo linguaggio, di un sistema comunitario. Nuovi indicatori del processo comunicativo vengono alla ribalta: tutto comunica, tutto è segno comunicante dell'appartenenza ad una stessa "tribù metropolitana": i vestiti, i tatuaggi, i piercing , ma anche i modelli di percezione e rielaborazione della realtà sociale.
"Gli Spiral Tribe sembravano comunque effettivamente dei marziani per noi, perché effettivamente arrivavano con questi mezzi assurdi, queste cose loro, di stranieri, così senza le targhe, quindi per noi erano dei marziani, però in realtà io ci vedevo dei fricchettoni.(Intervista ad a034)
Vedevo "altra gente" dietro alla struttura, dietro al sound, c'era un qualcos'altro, che era probabilmente quello a cui noi aspiravamo, quello che comunque ci ispirava nell'immaginario che però non avevamo ancora visto. [.]vedere questi tipi usciti da "Tank Girl" proprio, e da "Judge Dredd"(due fumetti futuristici, post apocalittici)..cioè allucinante.è stato veramente un flash, e poi la musica era "qualcos'altro", perché poi la musica Spiral all'inizio era.io me la ricordo una roba "tagliente", proprio, cioè l'aggettivo che la rende meglio è tagliente, c'erano, non so, dei suoni alti che mulinavano, e ti arrivavano dentro al cervello.[.] sembrava l'apocalisse o il capodanno del duemila, del quale già si parlava come del futuro.il capodanno del duemila in Australia coi Mutoid[.]si vociferava di questa cosa e poi c'era proprio l'idea che nel duemila -il duemila proprio: il futuro- si sarebbero ritrovati tutti i tekno travellers del mondo a costruire qualcosa. (Intervista a Giona)
Dalla festa selvaggia, "fuori cultura", alcuni vorrebbero veder nascere una cultura nuova. La techno, al di là della festa, sfocerebbe su una cultura "techno" globale, in accordo con le tecnologie contemporanee, con i miti della sua epoca. Il rave e le sue danze frenetiche rischiano allora di essere recuperate dalla società da cui scappavano. Una società delle apparenze, del falso, del consumato, che riprendendo i raves a proprio favore porterebbe inevitabilmente a dei gesti stereotipati e a delle nuove feste regolate, senza "spirito" e che di festa avrebbero solo il nome.
Quanto più quest'esperienza viene pianificata, quindi codificata, in modo tale da essere funzionale ad interessi anche direttamente economici, tanto più ci avviciniamo alla categoria di rituali previsti per la conservazione della gerarchia sociale dal sistema capitalista. Tali rituali sociali costituiscono la risposta al bisogno insopprimibile di sfondamento dell'individuale nell'indistinto della folla, che deve avere un suo tempo e un suo luogo deputati e soprattutto deve essere controllato : la partita di calcio è l'esempio più appariscente e allo stesso tempo più contraddittorio, visto il permanere di un residuo margine di imprevedibilità e di incontrollabilità. Lo svolgimento dovrebbe rispondere a comportamenti predefiniti che vanno a costituire da una parte le regole del gioco, dall'altra le funzioni che il giocatore e lo spettatore sono tenuti a interpretare. Questi rituali sociali coincidono con il momento "festivo" opposto e complementare al ciclo feriale. La "vacanza" é il periodo festivo per eccellenza, stabilito, fissato nella sua durata, durante il quale possiamo confonderci con gli altri, lasciarci andare alla socievolezza, alla convivialità. Secondo il mio punto di vista, ciò che distingue il rave illegale è proprio l' assenza di questo preciso carattere rituale, al contrario di chi è solito spiegare questi eventi attraverso concetti come quelli di trance e di sciamanesimo. Preferisco analizzare il rave in termini di festa piuttosto che di rito, anche se rito e gioco sono parti costituenti della festa.
"Se il rito, insieme formalizzato di azioni cerimoniali, innanzitutto si fa , la festa innanzitutto si sente . Essa implica (.) un vissuto comune degli attori che appartiene al livello delle emozioni e dei sentimenti anche se non si esaurisce in questo. [.] "il rave non è un rito all'interno del quale le rappresentazioni individuali e collettive vengono a collimare. Esso infatti, permette di fare esperienza di uno spazio in cui la compresenza di diversi codici simbolici rimanda ad espressività sincretiche, polifoniche, ibride, per la maggior parte delle volte estranee tra di loro, dove i medesimi significanti non rimandano agli stessi significati. Questi ultimi, arrivano a ricomporsi solo nell'esperienza soggettiva di chi partecipa e condivide uno stesso evento". (Del Ferraro, 2001)
Il rito "primitivo" cerca di (ri)stabilire, in comunità circoscritte, una coesione sociale e un equilibrio individuale. Sin dalle origini della civiltà l'abolizione rituale-festiva delle differenze è servita al rinsaldamento dell' ordine gerarchico, a rendere accettabili le differenze stesse. Nelle complesse società occidentali di oggi l'edonismo è la forma rituale attenuata, "laica". Il techno-party gestito orizzontalmente agisce precisamente e conflittualmente su questo terreno tentando di sfondare la nozione di festa, immettendole elementi di rottura, di critica, di sperimentazione.
"Il rave non mostra il luogo dove la società organizzata come totalità si auto rappresenta in festa, bensì un interzona in cui valori, atteggiamenti e modelli multipli sono in conflitto con la società di cui esso è parte. Durkheim vede nella festa lo strumento per accedere o per rinnovare lo spirito collettivo o la forza del popolo. Durante lo svolgimento del rave, al contrario, la società non viene rappresentata ma sovvertita. Nel rave l'integrazione sociale durkheimiana si rovescia nel suo opposto, per divenire simbolo di anomia e di conflitto sociale.(Del Ferraro, 2001)
Il momento ludico diventa capace di creare disordine e crisi nello stesso apparato che gestisce il divertimento. L'allarmismo isterico degli operatori delle discoteche (vedi il signor Bornigia, patron del Piper e di altri locali romani), che temono di perdere clienti mentre dicono di preoccuparsi per la sicurezza e la salute dei giovani, lo dimostra sufficientemente. Da un punto di vista più strettamente economico, il rave commerciale può avvicinarsi ad una ipotetica "società a responsabilità limitata", quello illegale ad un altrettanto ipotetica "società a responsabilità illimitata".
Il rave in generale costituisce un intreccio complesso e mutevole di implicazioni sociali, politiche, culturali e non solo, come spazio e tempo privilegiati della mescolanza, della trasversalità culturale, è irriducibile a qualsivoglia tentativo di indagine o analisi specialistica e allo stesso tempo la sua complessità fa sì che costituisca comunque un terreno sul quale convergono stimoli e interessi (diversi), spesso lontani fra loro, se non in conflitto.
Il punk ha rappresentato una attitudine nei confronti della musica che comportava la rivendicazione di una scelta esistenziale - tale scelta si manifestò in un primo tempo attraverso la provocazione come tentativo di rendersi visibili (le irruzioni nello show-business), più tardi attraverso la conflittualità come azione sociale, sia offensiva che difensiva. L'urgenza di difendere il proprio stile di vita evidentemente è stata prioritaria fino ad ora: il movimento del '77 e le successive esperienze delle occupazioni, dei centri sociali, hanno certamente un legame forte con il punk come cultura underground.
Il termine " underground " può essere utile per definire situazioni che si muovono all'interno di queste esigenze opposte e complementari: da una parte uscire fuori, dall'altra preservare la propria identità, sopravvivere con la propria diversità. Aprirsi e chiudersi. In un certo senso più si comunica con un pubblico ristretto cosicché esso si possa identificare e sentire un'appartenenza, più è facile che in un breve volgere di tempo si crei una categoria, una tendenza identificabile e utilizzabile commercialmente. L'autenticità e la simulazione finiscono così per essere difficilmente distinguibili.
Se per "fenomeno musicale" si intende appunto una categoria o un genere musicale che vende dischi e che sia riferibile ad un contesto preciso, la scena techno non può definirsi tale: il suo sviluppo, la sua crescita, il suo "successo", non dipendono dalle vendite dei dischi, dal fatto di rappresentare un buon prodotto commerciale; inoltre non è possibile identificare in maniera precisa i suoi acquirenti, tanto meno i suoi luoghi deputati in quanto essi vengono cercati, creati, oppure semplicemente vissuti di volta in volta in modo diverso. Un rave in una discoteca è quasi una contraddizione di termini.
Il rave è un luogo dove si possono raggiungere grazie ai vari dispositivi e alla disposizione (1) del raver, degli stati modificati di coscienza, dove poter alterare la coscienza, per accedere a uno stato di superiore ricettività e comunicazione. Ma dispositivo e disposizione non sono tutto, perché un terzo elemento, che definirei genericamente come background personale (culturale, spirituale, psicologico, mitologico, archetipico e quant'altro), interviene a connotare l'esperienza ben oltre la semplice attitudine cosciente della persona o le condizioni esteriori in cui essa viene vissuta. Da questo background dipendono sia l'interpretazione personale del dispositivo, sia il perfezionamento della disposizione verso quel sovrappiù di senso che va oltre la partecipazione da "discotecaro": dunque, in ultima analisi, da questo background dipende la qualità specifica dell'esperienza del rave.
(1): Non bastano i dispositivi quali musica, luci stroboscopiche, scenografie e installazioni video che gli organizzatori mettono a disposizione dei partecipanti in uno spazio in cui potranno lasciarsi andare. Per provocare disorientamento fino allo stato modificato di coscienza essi creano un dispositivo favorevole alla trance, ma è necessaria anche la disposizione psicofisiologica che il soggetto ha in sé (Lapassade 1993) e al quale dà libero corso in queste occasioni il raver. Gli individui anche sottomessi a un condizionamento estremo, sono più o meno disposti culturalmente ed intellettualmente ad entrare in trance, ma non tutti vivono questi stati con la stessa intensità, per quanto preparati si possa essere, fisicamente e psicologicamente, occorre esserlo anche intellettualmente e che si sia deciso (più o meno inconsciamente) di lasciarsi andare (Rouget 1986).
"Nei loro spazi autoprodotti e deterritorializzati, i ravers, attraverso i loro nomadismi, "costruiscono" un proprio linguaggio, basato sull'attenzione di segnali metacomunicativi, mostrando ed evidenziando qualcosa che va oltre il semplice linguaggio verbale ed esplicito". Tutto avviene in modo istintivo e naturale, oppure con una modalità di comunicazione del tutto inusuale e comune ad ogni partecipante che esprime valori mediante simboli che si mettono in vicendevole rapporto. I significati che scaturiscono dall'intreccio delle griglie di comunicazione personale si percepiscono senza che siano detti: qui, infatti, le parole lasciano il posto ai gesti, alla mimica facciale, alla danza, al tatto e soprattutto agli sguardi[.] Nei raves le persone si osservano ed interpretano i propri gesti e segnali in un vicendevole scambio di forme comunicative polifoniche, sincretiche, dialogiche. [.] E' all'interno di correnti comunicative sincretiche che i ravers si abbandonano, difatti, alla negazione del carattere fonologico delle percezioni per fondersi con l'ambiente che li circonda. Ribadendo che la cultura rave è principalmente una comunicazione di segni e simboli che si organizzano in sistemi di codici, voglio evidenziare come il linguaggio non verbale si mostri come uno straordinario strumento comunicativo, d'informazioni cognitive, affettive e conative che veicolano significati, talvolta, in maniera assai più potente rispetto alle possibilità della comunicazione verbale. (Del Ferraro, 2001)
E' difficile dire se il fenomeno dei rave si sia sviluppato per il bisogno di trascendenza (o dell'estraneo, dell'ignoto), che è universale, e universalmente sentito dai vivi, cioè dagli immanenti. Perché il rave sembra proiettare il suo telescopio ideale verso l'interiorità dei partecipanti, e più ancora verso il loro complesso, il loro consesso.
Il rave è innanzitutto un raduno collettivo, sotto il segno della musica e della danza. Un raduno nel quale si balla al suono di musica autoprodotta. Un raduno << illegale >>, cioè volutamente non autorizzato - e non autorizzabile - da nessuna autorità costituita. Si tratta dunque di un evento differente da una serata in discoteca. Ma in cosa differisce il raver da un normale frequentatore di discoteche? Dove finisce la semplice ricerca di intrattenimento collettivo e dove comincia tutto il resto? Innanzitutto la necessità di muoversi entro una rete di comunicazioni e la sua dimensione di illegalità sono efficaci deterrenti per filtrare quello che è il pubblico generico e disimpegnato. Il rave propone un'esperienza complessa, un progetto utopistico che va al di là del mero intrattenimento. E' una situazione nata con un alto contenuto simbolico e attraverso un percorso di liberazione che mal si accorda con la modalità commerciale con la quale il sistema economico occidentale ha assorbito questo fenomeno. Tuttavia l'insieme dei convenuti non è una setta chiusa, e le motivazioni dei partecipanti possono essere molto eterogenee. I raves nonostante le opposizioni persistenti, vengono organizzati e tutto viene attuato affinché i ravers possano sfuggire al loro condizionamento culturale e sociale ordinario e fare esperienza di stati di coscienza non ordinari e di rottura col quotidiano.
Illegalità del party vuol dire anche autoproduzione e autofinanziamento tramite banchetti o vendita del materiale prodotto, video, abbigliamento, gioielleria, musica, prodotti che restano rigorosamente underground. L'illegalità costringe alla MOBILITA' degli strumenti necessari a organizzare un party ma anche alla mobilità dei ravers, e stimola la creatività perché non si hanno a disposizione i mezzi né le risorse che invece hanno a disposizione le istituzioni dell'intrattenimento (risorse ottenute grazie all'alto prezzo del biglietto d'ingresso, che nei rave non esiste, perché nei rave si può ballare anche due giorni con un offerta libera alla cassa). Anche questa mobilità degli strumenti è una componente nomadica e precaria, la precarietà è vissuta come una qualità (da cui si parte).
Se si tenta di fare una distinzione tra le motivazioni di partecipazione dei ravers, queste possono essere molto eterogenee. Se analizziamo le motivazioni meno profonde dei partecipanti: cioè quelle di chi partecipa ai raves con lo stesso spirito con cui va in discoteca, e vive il rave come una specie di luna park , oppure quelle di chi ha un'adesione maggiore, ma non totale, allo spirito del rave, e senza caricarlo di aspettative complesse lo vive come una sorta di "carnevale privato", cogliendone soprattutto lo statuto di esperienza trasgressiva; la caduta delle inibizioni e l'emozione del rischio relativo da un lato, l'infrazione della normalità e della legalità, dall'altro, e un prolungato stress neurovegetativo e fisico; condurranno la sua adesione nello spirito di una sfida a se stesso e agli altri, alle convenzioni e all'ordine sociale. Queste due tipologie semplici, anche se certo non esauriscono tutte le possibili modalità di partecipazione a un'esperienza complessa quale è il rave, presentano motivazioni che, pur edonistiche e almeno in parte superficiali, soggiacciono alla logica del cerimoniale, anzi, di diversi generi di rituale profano. Nel quale concorrono gli aspetti rituali della danza collettiva, assieme a certe condizioni potenzialmente ipnotiche come l'immergersi in un "bagno di folla".
".adesso un po' mi ha disturbato della scena la society, il troppo society a me dà fastidio, nel senso che poi perde importanza il fare le cose, che alla fine è lo scopo per cui siamo insieme: fare delle cose e "spaccare il culo" a quello che non ci va bene, o comunque cercare di cambiare le cose. Non è un visione politica, a me piglia bene divertirmi e tutto, però io questo lo faccio perché voglio cambiare qualcosa. Non tutti vanno alle feste per cambiare qualcosa, il mio non è l'unico modo di andare alle feste, il mio è un discorso pratico, non politico, io voglio fare questo -cambiare le cose-.". (Intervista a BBS)
Le parole illegalità e underground legate ai raves, significano anche segreto. Una delle caratteristiche della nuova socialità che si ha nella massa del rave è la legge del segreto, come meccanismo di protezione verso l'esterno, cioè verso forme dominanti di potere, e come modo per rafforzare il gruppo. La cosa sembra paradossale se si pensa all'importanza che rivestono l'apparenza e la teatralità nella scena quotidiana. A tale riguardo, si può dire che la moltitudine e l'aggressività dei looks dei ravers, è l'indirizzo più chiaro della vita segreta e densa di questi microgruppi: il ruolo della maschera infatti, tra le altre funzioni è quello di integrare la persona in un'architettonica d'insieme. La maschera può essere allora una cresta stravagante e colorata, un tatuaggio, la ritualizzazione di abiti retrò.
".Era espresso anche nel mascherarsi, nel truccarsi, nell'avere un abbigliamento particolare, speciale, apposta, come magari scarponi molto grossi perché non dovevi aver freddo e devi poter saltare un casino, ci sono state le prime scarpe rinforzate , quasi con le molle, e poi i colori flash comunque che.però uno non si vestiva tanto per essere guardato secondo me, gli altri non guardavano troppo gli altri, era più secondo me un "sentire" (Intervista a Eleonora)
In ogni caso essa subordina la persona alla società segreta che il gruppo tra affini scelto costituisce. Il legame creato dall'appartenenza al gruppo è quindi cementato dal segreto, che può essere inutile o inesistente, basta che gli iniziati possano condividere qualcosa: questo dà loro forza e ne rende dinamica l'azione. Siamo di fronte ad una privacy collettiva, ad una legge non scritta, ad un codice che in modo quasi intenzionale si protegge da tutto ciò che è esterno o dominante. La caratteristica di questo atteggiamento consiste nel favorire la conservazione di sé, o del gruppo. Tale autonomia non si pone "pro" o "contro", ma si situa deliberatamente a latere. Questo si esprime attraverso una ripugnanza nei confronti del fronteggiamento, attraverso una saturazione dell'attivismo, un'allontanamento dal militantismo; tutte cose che si possono osservare nell'atteggiamento delle giovani generazioni nei confronti del politico e che si ritrovano anche all'interno degli ultimi nati dalla tematica della liberazione: i ravers. Il segreto dunque, in quanto forma sociale, consente la resistenza. La società segreta si situa sempre al margine. A volte il segreto può essere il mezzo per stabilire il contatto con l'alterità nel quadro di un gruppo ristretto, nello stesso tempo ne condiziona l'atteggiamento verso l'esterno. E' l'ipotesi della socialità nei raves, il fatto di condividere un'abitudine, un'ideologia, un ideale, determina lo stare insieme, e permette che quest'ultimo rappresenti una protezione verso l'imposizione, da qualunque parte essa venga.
".il Sun, il giornale inglese, che quando si iniziava a parlare di acid-house dava consigli ai ragazzi su come vestirsi, tipo con la maglietta con lo smiley, e comunque l'hanno fatta conoscere al grande pubblico e poi pochi anni dopo comunque i free party in Inghilterra li hanno vietati facendo una legge speciale pesantissima: e quindi qui vogliono fare questo. Perché alla fine, al cittadino medio per il momento che ci siano mille, 5.000, 10.000 persone che vanno in un posto a spaccarsi non gliene fotte, basta che non vadano sotto casa sua. Perché siamo in Italia. Però se tu interessi la gente a questo fenomeno, magari fai due o tre speciali televisivi, magari trovi tipi con voglia di protagonismo che ti raccontano in televisione com'è la cosa eccetera, allora loro ammazzano la scena, fanno fare delle leggi pesantissime per la cosa.capito? Sono furbi, hanno buttato l'amo. Il sistema ha buttato l'amo. E in Italia non siamo abituati a vedere queste cose in televisione. E' un male. La visibilità è un fregatura, c'è poco da ridere. E' uno strumento che hanno e che comunque utilizzano, perché il loro disegno comunque è farla finita con queste storie.
Io ho un opinione negativa della visibilità perché è una trappola, non sono paranoico, a qualcuno fa comodo "sputtanare" la scena così. Adesso vedremo cosa succede. E alle feste ci vado molto meno[.] mi sono distaccato per la questione della society, cioè il farne troppe parole e fare poche cose.[.] (Intervista a BBS)
Anche lo slang nel linguaggio dei ravers, il verlan dei parigini di periferia, consente di resistere ai tentativi di uniformizzazione in senso linguistico. La qualità essenziale della resistenza dei gruppi è di essere più astuta che offensiva e può esprimersi attraverso pratiche considerate alienate o alienanti. Astuzia, silenzio, astensione, lo stesso vale per il riso e l'ironia che hanno destabilizzato le più solide oppressioni. Illegalità vuol dire anche indifferenza verso la morale in generale. Più si avanza mascherati o clandestini più si rafforza il legame comunitario. Quindi l'illegalità e la deregolamentazione indotta dal tribalismo e dalla massificazione, il segreto e l'underground, non debbono essere considerati né come qualcosa di nuovo, né in modo totalmente negativo. Il solo problema è il fatto che il fare "banda a sé" provochi l'implosione di una data società come può essere quella del rave illegale.
".Io penso che l'underground in generale sia una cosa che non ha forma, e che non deve averla perché nel momento in cui ha forma, non è già più underground perché la forma gli è stata data. Il movimento punk nel momento in cui è stato chiamato "movimento punk" è morto subito, in realtà il problema è che il tentativo dell'uomo -sacrosanto, perché lo ha da sempre e lo avrà sempre- di dare delle etichette e di, comunque, creare dei codici e delle regole, è una cosa nell'istinto dell'uomo, non ci si può fare niente. Quindi io credo che, per me, cambiare vuol dire che io nel momento in cui dico che è il momento di cambiare non so neanche come sarà questo cambiamento, però secondo me è il momento in cui ci sarà il cambiamento, perché penso che la techno si stia riciclando molto ormai. [.] adesso c'è un vero e proprio popolo dei rave che -intendiamoci, il discorso è mio personale- nel senso che, a me non piacciono le situazioni stantie in generale: nel senso che comunque dove c'è staticità non c'è creatività mai. Questo credo che sia una legge assoluta. Il fatto è che la scena rimane statica, e questo è dovuto anche a una serie di altri fattori." (Intervista ad a034).