CAPITOLO TERZO

LA TECHNO IN ITALIA

3.1 EDONISMO E MILITANZA

"Il rave non ha storia, al massimo una cronologia confusa, ufficiosa, qualche appuntamento memorabile e sound system mitici. Non ha leader, ne fisionomie emblematiche. Il rave è un rizoma (1), germoglia come un'erba selvatica, si prende gioco delle frontiere locali come internazionali" (De Haro - Estive, 2002, pag.32).

(1): Nel pensiero deleuziano, il concetto di rizoma (una rete di tuberi connessi lateralmente) si oppone al sistema gerarchizzato a radice (caratteristico degli alberi). In musica, il termine "rizomatico" corrisponde all'idea Eno/dub di una democrazia dei suoni che fa esplodere l'abituale gerarchia degli strumenti (frequente valorizzazione della voce e dell'assolo di chitarra). In luogo di tutto ciò, si avrà "una sintetizzazione di suoni e pezzi eterogenei, attraverso una sorta di composizione che associa i suoni senza lasciar cadere la loro eterogeneità". Anticipata dal fractal funk e dai teoremi del caos dei Can , la musica rizomatica assume oggi la forma del taglia e mixa dei DJ (nei loro tentativi più riusciti, i più audaci ma anche i più rari), dell'avanguardia hip-hop e del post-rock. Mille plateaux, una etichetta techno tedesca,condivide egualmente l'interesse di Deleuze per la coscienza schizofrenica. Ammette la sua ammirazione per il lato oscuro dell' hardcore, per la sua "paranoia", e si dispiace per il modo in cui la jungle ha lasciato cadere la propria follia vitale per orientarsi verso una musicalità più seria. "A partire dagli anni 50" dichiara "attraverso la musica concreta, la musica industriale e la techno si sono ascoltati i rumori più vari, grida, stridori, fischi - rumori senza dubbio associabili alla follia. Gli effetti di eco suscitano allucinazioni uditive, provocano spostamenti nella percezione, permettono l'emergere di modalità percettive fino ad allora attribuite soltanto ai folli e agli schizofrenici". Per la Mille plateaux, come per Deleuze, un simile disorientamento sensoriale permette una decostruzione della "soggettività"(Deleuze-Guattari, 1997) .

Per questo motivo non cercherò di ricostruire una cronologia, né di tracciare una storia dei raves in Italia, ma solo di illustrare il contesto e la modalità insolita nella quale il rave ha attecchito.

Il fenomeno dei rave party in Italia esiste da oltre dieci anni, e da allora è molto cambiato. All'inizio degli anni novanta si trattava di feste dalla forte connotazione commerciale, organizzate da privati in grandi discoteche, preferibilmente tra quelle situate in luoghi ben raggiungibili dalle autostrade, anche in zone lontane dalla città. Sono famosi i primi party organizzati nei megalocali dell'Umbria, specialmente nella provincia a sud di Perugia, che una volta al mese al venerdì o al sabato abbandonavano la dance music o il liscio per la musica techno, dando luogo ad eventi in grado di attrarre migliaia di persone dal Centro come dal Nord Italia.

In Italia quindi, rispetto all'Inghilterra, molti passaggi sono reinterpretati diversamente e con un certo ritardo. Il percorso è praticamente fatto al contrario. La techno frequenta prima i locali più all'avanguardia dopo l'House music, e poi esplode l'ondata rave, dopo un prima fase avventurosa sul ciglio della legalità, nel giugno 1990. Lo spirito organizzativo è decisamente professionale, gli obiettivi sostanzialmente economici, i luoghi (discoteche o capannoni industriali) regolarmente affittati con tanto di obolo alla SIAE.

Nel nostro paese il primo rave è stato il The rose rave di Aprilia nell'estate 1990, dopo il primo evento storico, già il 15 settembre'90 il world beat dance festival ha avuto il tragico epilogo di un giovane morto durante una rissa tra opposti gruppi di tifosi. Prendendo spunto dall'episodio anche in Italia si apre una campagna di criminalizzazione dei rave mentre, soprattutto nell'area laziale, cresce la presenza nelle feste di gruppi di estrema destra, aumenta il clima di violenza e per un po' di tempo il movimento dei rave registra una stasi. La risposta organizzativa è forte solo dal punto di vista spettacolare: "stop the violence" è il nome del successivo rave a Borgo Sabotino - Roma, ma la situazione si frammenta e si deteriora: furti e risse sono all'ordine del giorno, scompare il pubblico femminile e alcuni figuri in camicia nera (siamo nel '92-'93, escono una serie di dischi intitolati per esempio Technobalilla e un remake House di Faccetta Nera ) cercano di cavalcare gli eventi rivendicando territorialità impensabili in uno spazio nato come cultura di contaminazione, ma ne decretano la sostanziale fine per dimensione e per spirito. A Roma di ciò che erano le feste autogestite londinesi era rimasto solo il rito neo-primitivo. La carica eversiva nomade si era lentamente istituzionalizzata e i rave all'aperto erano diventati sempre più rari, perdendo il magico fascino di un'avventura in uno spazio parallelo, del luogo fantasma rintracciabile seguendo indicazioni stradali fantasma che si sovrappongono a quelle normative, frantumando la rigida relazione mappa/territorio (Santarelli, 1995). Ma il desiderio rimane, e dall'incontro tra i transfughi dai vari rave chiamati "Bresaola", 1, 2, 3 e via.con gli elementi più radicali e creativi della controcultura romana nasce la scena illegale.

Tutto è cambiato quando la techno ha fatto il suo ingresso nei centri sociali. Dapprima osteggiati dai protagonisti dell'occupazione, i ragazzi dalle teste rasate e tutto ciò che i rave rappresentavano (eccitanti chimici compresi) sono stati via via assimilati dall'ultrasinistra e dai movimenti anarchici: vi si è intravisto un'area di disagio e di ribellione che aveva molti punti in comune con l'esperienza delle occupazioni. Quindi i rave illegali vengono proposti all'interno del circuito dei centri sociali occupati con ingresso a offerta libera o al prezzo politico di cinquemila lire. Negli ultimi anni molte feste nei centri sociali hanno celebrato il ritorno alla psichedelia con i goa party, mentre le feste illegali propongono musica tekno e hardcore.

E proprio attraverso l'occupazione temporanea di luoghi sconosciuti fino a un momento prima della festa rave si è sviluppata una nuova fisionomia di questi raduni. Roberto Callipari individua tre punti di contatto tra le due esperienze culturali dei raves illegali e dei raves nei centri sociali: la musica, l'occupazione temporanea di un territorio e la dimensione del viaggio, inteso in senso fisico e psichico (Callipari, 1995, pag.263-269).

In Italia la rivendicazione del diritto alla festa si esprime in maniera militante e politicizzata nei raves illegali. Questi si inseriscono verosimilmente in una controcultura e si oppongono ad ogni organizzazione commerciale, in quanto sono una critica al sistema consumistico e alla logica di mercato, nascono come centro propulsore di una nuova forma di contestazione. Sui volantini appaiono messaggi politici e vengono distribuiti nelle feste dei manifesti militanti. Gli attivisti dei centri sociali occupati fanno riferimento alle teorie di Hakim Bey, che ottiene una vasta eco in Italia grazie alla pubblicazione di TAZ in questo periodo a cura del gruppo Decoder/Shake. Il pensiero di Bey si è dapprima legato all'autoriflessione nei centri sociali occupati trovando poi un luogo di fermentazione nella scena dei rave illegali, tanto da essere utilizzato come strumento analitico non esterno alla riflessione degli stessi "organizzatori-partecipanti". Bey riconosce nei raves una delle manifestazioni possibili della TAZ, che secondo lui, rappresenta un modo per liberare l'individuo dal dominio della società dello spettacolo attraverso l'appropriazione e l'investitura temporanee di un luogo simbolico del circondario urbano e attraverso il riciclaggio ludico dello spazio. Questa politicizzazione del rave italiano ha dato vita ad avvenimenti quali l'occupazione illegale della stazione romana di Farneto, costruita per i mondiali di calcio del 1990, costata svariati miliardi e rimasta aperta solo dieci giorni. L'interruzione, da parte delle forze dell'ordine, del rave organizzato in quell'occasione ha avuto molta eco da parte della stampa italiana. Quindi più che di una politicizzazione del rave, si tratta di un suo recupero a fini politici, dall'estrema sinistra al movimento anarchico. L'ondata fascista iniziale (legata ai raves) quindi scompare definitivamente: una tacita comunione di intenti con i centri sociali occupati si sostituì alla precedente politicizzazione di destra, ricalcando le orme della storia inglese. Gli "autonomi" italiani erano il corrispondente dei

«Crusty inglesi, [.] vivono in case occupate e che hanno dato vita a una sorta di economia neo-medievale basata su prodotti artigianali, medicina alternativa e intrattenimento (giocolieri, acrobati e artisti di strada in genere, guaritori, venditori di cibo, candelai, venditori di vestiti e gioielli artigianali, tatuatori e spacciatori di droghe)» (Reynolds, 1998, pag.186).

Crusty , zippy , come i loro fratelli inglesi che hanno dato vita alle techno tribes creando un movimento culturale antagonista. In Inghilterra la repressione ha fatto rinascere la cultura DIY (Do It Yourself, Fallo Tu Stesso, ndt) (Saunders, 1995). Creandosi i loro luoghi, lavori e divertimenti, alcuni gruppi di giovani costituiscono oggi delle comunità autosufficienti in cui vengono incoraggiate la libertà e l'espressione. Questi gruppi autonomi esistono nella maggior parte delle regioni inglesi; per molti di loro la principale ragione di esistere è organizzare raves. La cultura DIY non poggia su un edonismo egoistico. La maggioranza dei gruppi DIY partecipa ad azioni non violente con lo scopo di mobilitare il pubblico su problemi sociali ed ecologici.

Astrid Fontaine e Caroline Fontana hanno condotto una ricerca sul fenomeno dei rave in Europa, in particolare in Francia e Italia. Per le due ricercatrici il rave si configura come un nuovo rito di trance metropolitana e, con riferimento alla situazione italiana, vengono individuati tre tipi di rave: i rave commerciali organizzati in discoteche, quelli autogestiti e quelli illegali (Fontaine-Fontana, 1996, pag.14). Ci troviamo, dopotutto, all'interno di una situazione ibrida che ha indotto, e tuttora induce, molteplici commistioni tra le differenti matrici e diversi stili, tra pratiche di autogestione e non. L'area illegale e l'area commerciale in Italia non delimitano due universi separati e incomunicanti, anzi, spesso giovani che seguono la musica techno attraversano indifferentemente i vari contesti alla ricerca della purezza del suono e della intensità delle emozioni.

La differenza che Fontaine e Fontana hanno rilevato tra i raves illegali francesi e quelli italiani può essere paragonata all'opposizione che fa Harvey Cox (1971) in un altro contesto tra due movimenti della fine degli anni 60: i "neo mistici" e i "nuovi militanti".

"Se la parola chiave dei mistici è contemplazione, per i militanti è partecipazione. I militanti insistono sul fatto che non solo lo spirito ma anche le istituzioni devono essere "areate" e rifatte se dobbiamo avere mai una società di partecipazione. La tattica dei nuovi militanti non è ritirarsi ma affrontare. Invece di "prendere" droghe e "viaggiare" essi preferiscono "occupare" e "prendere possesso".(Cox, 1971)

Il fenomeno rave in Italia riunisce due tipi di partecipazione molto differenti, da un lato la festa, nella sua essenza, è molto vicina alla mistica, nella relazione diretta e nella "contemplazione"; ma dall'altro essa è nella sua essenza anche partecipazione ed anti-autorità, due valori centrali per le politiche radicali. In Italia, del resto, all'interno dei movimenti giovanili ha sempre prevalso il modello dell'organizzazione politica rispetto alle opzioni libertarie di radicalità controculturale e quindi le istanze che praticano l'antagonismo attraverso l'informazione, la comunicazione e la musica si trovano, soprattutto nell'attuale clima sociale e politico, in una posizione minoritaria.

Infatti nel nord Europa, la legislazione in materia di occupazioni abusive è assai diversa da quella italiana, come del resto diversa è tutta la vicenda politica dei paesi nordeuropei negli ultimi trent'anni. Questo ha fatto si che il movimento delle occupazioni si sviluppasse in modo indipendente dalle lotte sociali, al contrario di quanto è successo in Italia. In Italia non esistevano gli squatters come in Inghilterra Germania o Olanda. Nel contesto italiano le occupazioni sono un fenomeno che si diffonde sulla spinta delle lotte per la casa, ma nel contesto di una critica più vasta alla gestione dei servizi sociali urbani. Soprattutto Milano è il luogo della "tolleranza zero" verso gli occupanti. Nelle altre parti d'Europa agli squat viene riservato un ruolo particolare, diverso che in Italia, è raro infatti che gli edifici abbandonati vengano occupati per finalità diverse da quelle abitative. E' per questo che la stessa tipologia dello spazio sociale, esteso spesso su migliaia di metri quadri, è unica nel contesto nazionale, invece che soltanto occupazioni residenziali il caso italiano annovera tra le sedi di C.S. anche ex-stabilimenti,ex- forti militari, ex-caserme, ex-scuole, ex-mattatoi. Sebbene l'Italia sia un paese in cui non esistono incentivi a sostegno dell'uscita dalla casa familiare dei giovani (come invece succede nel nord Europa), i centri sociali sono per definizione una categoria di occupazioni che mirano a costruire uno spazio di aggregazione e sperimentazione separato dalla residenza (a parte qualche caso ibrido).

I centri sociali, sono una realtà tipicamente italiana: luoghi in cui i giovani si riappropriano dei loro percorsi attraverso una ri-occupazione dello spazio, in cui collettivizzano saperi ed esperienze creando sistemi di significati altri. Essi si concentrano nella parte centrale e settentrionale del paese, in particolare nel triangolo industriale, mantenendo un primato numerico a Roma. Il fenomeno dei centri sociali è anche un fenomeno classificabile non solo come urbano ma più specificatamente come metropolitano. Milano, Napoli, Roma, Torino, sono le città con la maggiore concentrazione di sentimento antagonista, seguite da Bologna, Bari, Catania, Firenze, Genova. Queste sono anche le città dove si sono sviluppati i raves e i free party in Italia. Anche per i raves infatti Roma mantiene il primato come "capitale dell'autogestione", a Roma si è diffusa prima che ne alle altre parti d'Italia la cultura Rave, in zone liberate particolarmente attive come la FINTECK , un'ex industria di manufatti di cemento e costruzioni edili, con sede a Castel Romano, occupata permanentemente per tre anni, centro nevralgico intorno al quale si sviluppò il processo di formazione ed evoluzione dei raves nella capitale, proponendo uno stile di vita e di comportamento al di fuori da ogni regola e costrizione; ospitando le varie tribes straniere e proponendo un inusuale spazio in cui abitare: quello dei furgoni (Canevacci, 1999).

Come successe dagli anni '80 e dal no future del punk, si tende a sottolineare l'esigenza di costruire forme di società alternative adesso ( hic et nunc ) piuttosto che aspettare la Rivoluzione per poter cambiare il mondo. Quindi solo con la tradizione anarchica (che già conteneva il concetto di costruzione hic et nunc, tramite la lotta, di forme di società altra) e libertaria comincia a farsi strada una profonda disillusione verso l'idea stessa di rivoluzione e un più pragmatico desiderio di "invenzione del presente".

L'elemento di rottura con la vecchia politica dei partiti e dei centri sociali è quindi l'esperienza punk, questo stile importato in Italia dall'Inghilterra già dagli anni '70 ma che comincia a diffondersi solo nel decennio successivo e di nuovo irrompe negli anni novanta nel panorama artistico-culturale come movimento di rifiuto della società ma anche come prospettiva progettuale nell'azione-contro: l'unico contesto in cui valga la pena di occuparsi è il presente, l'unica modalità per comunicare il proprio malessere ad una società che è sempre più mediatica è quella estetica, che si esprime attraverso il corpo. Il corpo diventa lo spazio di significazione, il rito e la performance, introdotta dal teatro di strada degli anni '70, diventano pratica quotidiana. Soprattutto la musica si diffuse nei centri sociali contaminati dal punk negli anni '80, e i concerti si susseguirono con ritmo regolare, a differenza di quanto succedeva prima, quando nei centri sociali si tenevano solo assemblee e iniziative politiche. Così è successo negli anni novanta con i raves; la musica come strumento di contaminazione e sperimentazione creativa e natura contestativi. I raves ora rappresentano fenomeni di guerriglia urbana del tutto inusuali e che fanno della gioia un crimine contro lo stato, la pratica della festa e la musica diventano ciò che di più sovversivo può esserci. La musica era anche uno degli argomenti trattati nelle centinaia di fanzines, aspetto editoriale della rivolta estetica, che animavano il circuito underground, redatte dagli stessi giovani punk che ne costruiscono il target, che in questo modo possono essere definiti prosumers , consumatori di un prodotto che producono loro stessi, come succede per la produzione e distribuzione di musica techno.

Figura 1 Tekno distribuzione Blackquirex.

"Generalmente ciò che mi interessa è oltrepassare i confini, sfidare ogni certezza. E nel contesto ciò si articola su diversi livelli. Per esempio la distribuzione: come si organizza la produzione e distribuzione di musica? E' importante il fatto che noi produciamo i nostri dischi da soli e li distribuiamo da soli, su vasta scala, sperando di creare una rete di persone con mentalità simile che si aiutino a vicenda. Tutto questo ha un ulteriore significato nei generi di feste dove la nostra musica viene suonata. E' anche importante per me produrre su vinile a 12 pollici in modo da non limitare necessariamente il disco come prodotto finito o in generale come prodotto per la logica del consumo. Penso che questi debbano essere usati come attrezzi dai DJ che possono mixarli insieme per creare qualcosa di nuovo. Il contesto adatto per questo non è sicuramente il club o il rave, solitamente accade ai free-party, ai teknival o negli squat-party, quindi troviamo ancora implicazioni politiche dirette o indirette, oppure possiamo chiamarle implicazioni psicosociali: non so se "politica" sia la parola adatta. Sono eventi che accadono fuori dalla normale industria culturale del consumo e del commercio, sfidando così i meccanismi e le strutture gerarchiche della cultura di massa". (Intervista a Cristoph Fringeli, fondatore dell'etichetta techno Praxis)

Percorsi diversi si scoprono e si inventano per sovvertire le imposizioni dall'alto, mostrando tutta la loro estraneità alle strategie dell'assorbimento e della funzionalizzazione. "Il riciclaggio assume carattere politico nel momento in cui, attraverso il campionamento, va a rompere i tetti legislativo - repressivi della proprietà privata del suono"(Macarone Palmieri, 1997). Il rave è anche attacco al copyright. Ladrocinio sonoro. Distorsione e re-cycle . I raves demistificano e valorizzano la trasgressione e si presentano come una risposta politica all'età presente pur non scontrandosi direttamente con lo stato ma contestandolo in tutte le sue sfaccettature; ne sono un esempio le lotte dei musicisti techno contro le logiche di distribuzione della musica:

"Adesso per esempio coi dischi è un altro casino, perché mo' tutti i distributori che prima lavoravano underground, in mezzo all'illegale e il legale, adesso invece no, si vogliono mettere in regola, no? E dicono che tu musicista se devi, se vuoi vendere a loro, o ti fai produrre da loro e ti fanno il contratto come musicista oppure se tu sei autoproduttore, cioè ti auto produci il disco, devi avere la partita IVA altrimenti loro non si comprano i dischi tuoi. Hai capito e quindi vedi, per money.[.] mentre prima non era così; funzionava a scambi, va bene? Oppure funzionava a nero, proprio.a scambio tu davi a un tipo, magari francese, tremila dischi e ti prendevi tremila di titoli diversi e ti facevi la tua distribuzione underground e così funzionava.[.] perché il mercato si è creato, anche se è piccolo, però è veloce, quindi conviene farlo, e poi gira la musica, eh? Parliamoci chiaro, cioè, tu lo fai per fare girare la musica, poi è una figata poter avere dischi che riesci a vendere, però adesso per riuscire a venderli devi avere o qualcuno che ti produce, quindi l'etichetta legale, che possa fatturare. va bene? oppure ti devi fare produrre, quindi o ti fai produrre dal distributore, da questi negozi che prima si compravano i dischi tuoi oppure ti devi aprire tu una partita IVA e devi diventare tu stesso produttore. Ti fai l'etichetta, devi fare un'etichetta tipo blackquirex (distributore underground), ancora lui per esempio non si è ancora messo in regola, pure lui no? Però si dovrà mettere in regola. Perché se no non potrà più vendere a 'sti cazzo di distributori. Io sono musicista e fino ad ora sono campato con i dischi miei e i dischi degli altri, coi quali lavoravamo underground, e non volevamo aprirci una partita IVA perché era una scelta proprio politica, parliamoci chiaro, cioè tu stai facendo il rave, cioè qua siamo anarchici, cioè facciamo i rave per fare gli illegali perché siamo contro il business e le discoteche, contro la polizia e contro i buttafuori e contro questo e quello e poi che facciamo? Diventiamo dei businessmen noi stessi? No! Allora, la cosa era nata underground, adesso i distributori si sono trovati che hanno un grosso business, va bene? E lo devono giustificare alle autorità, perché altrimenti li chiudono, e allora ti dicono, si, io continuo a vendere la tua musica, però tu ti devi mettere in regola. E che cazzo vuol dire oh? Ah.pensi che sia giusto perché questa gente se non fa così non campa, oh? Ma perché? Si può campare sempre fuori dal sistema, come hai fatto fino ad ora.

Poi ognuno fa le sue scelte però così metti in pericolo l'autoproduzione. Adesso bisogna vedere che cosa bisogna fare, perché se vogliamo continuare a lavorare underground, bisogna che i musicisti si facciano una propria distribuzione tra di loro e glielo mettiamo in culo a tutti i distributori. E non è per ideale, e non è politica, al rave non si fa politica, è per il divertimento, la mia scelta di rave è stata per il divertimento per prima cosa. Poi un fondo di ideologia certo c'è, in fondo, perché se no me ne andavo a suonare, invece che passare la tekno ai raves facevo la tekno più lenta e me ne andavo a suonare al Cocoricò, e mi beccavo un palo e mezzo a serata, ma stiamo scherzando? Perché comunque a livello di musica ai raves si suona all'avanguardia, questo bisogna dirlo." (Intervista a Luciano).

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