...continua capitolo quarto
4.7 ATTRAVERSARE LO SPECCHIO PER COMPRENDERE LA VITA
Ho usato spesso, durante il mio lavoro, la metafora dello specchio per descrivere il rave: lo specchio eterotopico, il rave come stanza degli specchi dove performance di svago e attività di vita sociale interagiscono e si riflettono in nuovi modelli di identità e comunicazione e infine il rave come specchio invertito del quotidiano.
Le serate techno illegali, impiantate e disseminate per tutta l'Europa da una decina d'anni, non cessano di far parlare di esse. Mandando in cortocircuito la festività stabilita e regolata dal centro, i raves pietrificano, per i loro aspetti oscuri e perché mobilitano migliaia di giovani "incontrollabili". Come un'onda dilagante che deve fatalmente arenarsi, i partecipanti, investendo lo spazio di una notte, eludono le istituzioni.
La particolarità dei free party, ricompone il principio del diritto alla festa: la festa per tutti, senza discriminazioni. Il diritto non è più accordato, non si rispettano particolari regolamentazioni, i ravers se le attribuiscono loro stessi. Allo stesso modo, mettendo in una situazione instabile e precaria, delle costrizioni e degli obblighi multiformi (temporali, corporali, spaziali.), i partecipanti aderiscono a uno spazio di festa senza misure né limiti ed erigono temporaneamente il rave come terra d'asilo, come la loro cattedrale. E di fronte al recupero commerciale, politico, mediatico, il movimento undeground perdura e rivendica la sua purezza d'animo non pervertita, né convertita.
Nel tentativo di comprendere l'alternanza di questi ritmi di vita, lo sguardo deve essere orientato non solo sullo spazio-tempo festivo, ma anche sullo spazio-tempo quotidiano. Imbrigliare l'oggetto di questa tesi e ridurlo al suo spazio di manifestazione potrebbe amputare la conoscenza e lasciare numerose questioni senza risposta. Non tralasciando di parlare del rave come di un "altrove", il "qui" di referenza di questa rappresentazione non può essere omesso.
A partire da questo sguardo il rave può presentarsi come lo specchio invertito del quotidiano. Dietro un meccanismo di trasfigurazione, d'idealizzazione della sfera festiva, i partecipanti sono portati a fare l'esperienza della vita societaria, in termini di prova. I ravers si confrontano nello spazio festivo, a quello da cui fuggono o rifiutano nel quotidiano. Per questo motivo una forma di stato dei luoghi della sfera del quotidiano, del banale, permetterà di dipingere il quadro nel quale i partecipanti errano. Errare sembra il termine adeguato. Proviene dal latino errare, erratum : "andare all'avventura", "confondersi", "allontanarsi". Queste differenti espressioni, sollevano la nozione di mobilità, d'erranza. Così, errando in un labirinto dai mille incroci, i ravers percorrono dei cammini, tentano a destra, a sinistra, il fine è di non restare mai fermi. Oscillando tra l'interiore e l'esteriore, un dentro e un fuori, i ravers non cessano di sfidare e di schivare la noia, le difficoltà, la solitudine e un malessere eccessivo e invadente. L'erranza senza fine né obiettivo preciso, oltre quello di stare con degli altri simili, conforta la tematica maffesoliana dell'essere insieme dove l'unione, cioè essere insieme qui ed ora, domina l'esistenza. Poco importa se nessuno si ascolta troppo, se una persona presente alla festa nella sfera privata è un puro sconosciuto, il privilegio è accordato alla condivisione di un tempo presente. Colmando un sentimento confusionale o finalmente l'incertezza, l'assenza d'infatuazione e di passione, i desideri dominano un'esistenza languida e fiacca, la concentrazione sull'istante si sostituisce a un orizzonte ristretto, limitato.
Ma oltre ad eludere il sentimento di solitudine, altri sentimenti come l'anonimato e l'individualismo, sono rinnegati come vera perversione dei nostri tempi. Per la loro rappresentazione del mondo, i ravers denigrano questi aspetti al profitto di un discorso esaltante il rispetto per l'altro e la solidarietà, durante il rave.
Alla ricerca di un rifugio salvatore, i ravers per introdursi nello spazio festivo, devono necessariamente passare per un punto focale, una soglia, un luogo di rottura. Declinandosi in spazio interstiziale, il punto di incontro, lo specchio dove sarà deliberato il piano di accesso della serata, avrà compito di passaggio. Assicurando il doppio processo di rottura-apertura, questa fase liminale permette con il rituale, questa riproduzione del sé, l'aspetto protettore indispensabile. Alla maniera delle analisi di Van Gennep (1981) sui riti di passaggio, questa soglia s'accompagna più spesso con un passaggio fisico.
Una volta, cioè qualche anno fa, nel primo periodo dell'apparizione dei raves, questo passaggio fisico era più marcato perché l'organizzazione di un rave prevedeva sempre un meeting point, un punto di incontro, nei parcheggi, nelle aree di servizio delle strade. Questo punto di incontro scatenava una forma di materialità dello sguardo. L'attore sociale (del rave) guardandosi e riconoscendosi tra simili, si posizionava differentemente sul grande scacchiere della vita. In quel momento, da pedina che subisce una vita scialba, il raver si faceva cavaliere alla conquista della vita, della sua vita. A questo punto, ciò che è percepito negativamente nella sfera del quotidiano, è appreso in maniera positiva e costruttiva nella sfera del rave, la visione del mondo si allarga e l'orizzonte delle possibilità si dilata. Dallo sguardo passivo e subito, al vissuto intensivo, il raver sperimenta, il visto si trasforma in vissuto. Quindi, guidando coi fari accesi, musica alta per allontanare le tenebre, gli occhi puntati su qualche indicazione avuta dagli organizzatori al meeting point, i ravers si dirigono verso il posto dove si svolge il rave, verso un inesplorato che li attira e li cattura.
Posizionandosi ai suoi antipodi, il rave si declina come uno spazio tempo rilevante dell'altrove, immerso nel caos, nel trasgressivo, nell'eccesso dove tutto sembra permesso. L'assenza di barriere, di frontiere restituisce questo altrove pensato in termini di terra d'asilo. Come un isolotto autonomo, una bolla fittizia uscita dal nulla, lo spazio tempo della festa si spiega come un rifugio, un'oasi dove la fusione, la confusione nell'altro fanno nascere un sentimento di condivisione, di benessere. In un universo dove le teste si mescolano a una musica sempre più rapida, sempre più avvolgente, sempre più a spirale.
Così, nello spazio tempo del rave dove si mischiano, si fiancheggiano e si sfiorano degli universi antinomici, dove l'affascinante e il tremendo sono una cosa sola, dove la trasfigurazione e la sublimazione ne fanno un altrove, l'elevazione di uno specchio societario prende piede. Riproducendo una micro-società che comporta le sue proprie leggi, i suoi limiti e i suoi aspetti negativi, in uno spazio abbellito, il raver è confrontato momentaneamente a ciò che egli fugge ordinariamente nel quotidiano. Per cui ciò che egli non può assumere, né vivere nel quotidiano, il raver lo affronta e lo accetta in questo altro spazio-tempo, grazie alla messa in scena pragmatica di uno sguardo prima sopraffatto, vinto, poi fonte di piacere. Gli aspetti opprimenti del quotidiano subiscono una metamorfosi e si presentano come dei comportamenti normali.
Nel cuore di questa sfera festiva emerge una socialità particolare, che fa dell'anonimato una regola implicita. Il raver non è altro che il frutto dei suoi atti di una serata, sembra essere uscito dal nulla, senza passato, senza traiettoria. Tutto ciò che rimanda al quotidiano è fuggito e messo da parte. La valorizzazione di sé inizia dal riconoscimento nella festa (raves ai quali si è stati, psicotropi consumati, ore passate a danzare.) anche il nome, l'impronta più intrinseca è spesso messa da parte. L'importanza sta nello scambio (di sguardi,verbale, tattile). Uno sconosciuto diventa in pochi minuti un migliore amico, poco importa se non si conosce il rispettivo nome e se non ci si vedrà più. Nell'istante preciso della condivisione del momento, qualche cosa succede. Sono incontri precari, superficiali ma non meno forti. Parallelamente a questo sentimento di fusione, di relazione all'altro, bisogna constatare una forma di solitudine non cosciente; ritrovarsi con altri, sollevati da un'effervescenza, stando soli in questo viaggio magico.
"Tutto quello che provo a proposito del party non è una cosa che ha a che fare con gli altri, ha a che fare con gli altri ma è strumentale, cioè è una cosa che a che a fare con te stesso, semplicemente tu ti senti più libero, ma può essere anche un illusione, a me va bene anche se qualcuno mi dice: è solo un illusione, perché in realtà il potere di autosuggestione del cervello è gigantesco, però bella lì che c'è, cioè io in realtà in quelle situazioni mi sentivo libero perché in quel momento non esisteva lo spazio, non esisteva il tempo, non esistevano tutta una serie di schemi sociali di cui invece hai bisogno per poter vivere con una altra persona. In quelle occasioni tu vivi con te, con te stesso, insieme, in compagnia di te stesso e in mezzo a una massa di persone che non conosci - che poi cominci a conoscere con il tempo- però tu all'inizio ti trovi semplicemente in una massa di persone che in realtà in comune con te non hanno granché. E' lo stesso che c'era, prima dei parties, ai concerti, questa cosa, però non era la stessa cosa dal punto di vista della fusione totale con la musica e con la gente.
Per me la musica è il significato della libertà, per me la musica è la libertà, cioè la vedo proprio come l'unica libertà, capito? E alle feste tu sei fuso con la musica, con le regole di quella musica, in quella situazione che viene creata intorno a questa cosa." (Intervista ad A034).
Dal consumo degli psicotropi che rinchiude certuni nei loro deliri, all'introiezione del suono (essere dentro (1), essere "in rave" rimanda a essere con sé stessi. Il sé domina l'altrui, fino ad escludere l'altrui dalla relazione privilegiata che il raver istituisce con la musica. I ravers operano una materializzazione del suono, questo suono che ingloba il corpo intero, e vi si abbandonano senza restrizione. Questa relazione particolare ed esclusiva rinvia ai comportamenti del bambino, al momento in cui modella la distinzione tra il "me" e il mondo, infatti il bambino che gioca, occupa un area che egli non lascia senza difficoltà, o non ammette facilmente le intrusioni. Nel cuore di uno spazio rassicurante, la madre arcaica (la terra madre Gaia, colei che dona, che nutre; metafora della musica), questa madre potente dei primi tempi sembra dominare la festa, e fa' dei partecipanti delle repliche dei comportamenti di nutrizione. I ravers assumono dei meccanismi simili alle manifestazioni di attaccamento del bambino e oscillano tra due bisogni antagonisti ma non meno complementari: il bisogno di sicurezza e protezione che serve loro per potersi abbandonare e quello della scoperta, dell'inesplorato. Quindi la messa in scena di questo altrove sperato e ricercato, è come una replica della vita societaria che essi erigono. Coperto di mistero e di un approccio labirintico, è la loro propria esistenza che i ravers orchestrano. Nel cuore della festa, dietro un luddismo e un divertimento ostentato, c'è il loro proprio "io" che si inscrive nel gioco festivo.
(1): espressione ricorrente nelle discussioni più implicite. Danzare la musica techno è abbandonarsi in essa, rimanda a essere nel suono, infatti si parla di un DJ o di un sound system come di "suono", essi "montano il suono", ecc.
".io vedevo tutto bello e mi ricordo i litigi che facevo sui newsgroup dove c'erano i romani ed headcleaner che dicevano che il rave è anomia e distruzione delle regole e distruzione dello spazio e del tempo e distruzione di tutto; per me non era distruzione ma creazione di qualcosa di "a parte" e non riuscivo a non vederla con un senso positivo, sia per una questione mia di coscienza -perché io la volevo vedere come cosa positiva- sia perché comunque il tipo di energia che mi sembrava di percepire e che comunque percepivo era un'energia positiva, non era qualcosa che andava contro qualcosa, era proprio una cosa che ti estraniava completamente dalla realtà, dal mondo. Era una cosa che ti faceva rendere conto che TU SEI sempre, comunque, a prescindere da qualunque cosa e POI sei all'interno della società, però DOPO sei all'interno della società, dopo sei all'interno di quelle regole, cioè la tua testa è libera e gli schemi che crea sono quelli che gli servono per razionalizzare qualcosa di cui in realtà non ci capisce niente." (Intervista ad a034).
L'apprendimento del sé nel mezzo della confusione, della trasgressione, dell'eccesso, della dismisura assicura il passaggio materializzato da una visione negativa a un vissuto positivo. Questo stravolgimento nel quale i partecipanti sono condotti a confrontarsi con lo sguardo pietrificante del quotidiano che essi avevano edificato, è una iniziazione alla nostra società che essi accennano senza rischi, nella sfera protettrice del rave.
".il nomadismo è lo specchio di un mondo, un po' il riflesso delle pozzanghere della città, quello in cui alla fine riesci a vivere senza i soldi più o meno e a fare altre cose e a sottostare ad altre leggi, ed è una situazione che in certi casi ti è necessaria per come è la società oggi e come magari possiamo essere qua noi, che va beh.tutto sommato siamo gente fortunata, che studia e tutto, però io personalmente non mi sono mai integrata nella società e nella realtà quale è. né ho veramente intenzione di farlo, anche già le mie scelte universitarie presupponevano il non volermi integrare, il non voler entrare, il non voler fare business, di non fare un investimento nello studio che avesse un fine, ma un'esperienza individuale, mia, di crescita, che spero comunque poi di riuscire a utilizzare, però che ho fatto in un modo anche serio, però per me, perché non ho mai creduto nelle istituzioni.
Tornando alle feste poi, purtroppo, come tutti gli specchi, riflettono anche le merde, seppur al contrario per certi versi, per cui all'interno dell'ambiente ci sono le mafie, ci sono anche tante cose non belle, anche perché poi per certi versi appunto diventa.c'è gente veramente grande in mezzo e c'è anche gente che non vale un cazzo, o che comunque non ha mai avuto interessi o non ha mai capito un cazzo; la tekno è una musica facile, entrare e fare soldi con le droghe è facile, non avere interessi è facile, quindi trovare tutto lì dentro è un attimo; basta rasarsi i capelli e farsi un tatuaggio, e poi fai parte della tribù, io non sono così, e questo lo vedo, oggi è sempre di più così e quindi ci sono delle cose che prima non c'erano, secondo me, tipo certe cose di espressione, di ricerca nel movimento, si è portato avanti molto di più l'aspetto musicale che è diventato ben raffinato, comunque realizzato bene, la strada va adesso verso l'hip hop, il tek hop, eccetera che però comunque è andata avanti.Altre cose invece sono state un po' lasciate indietro: cioè l'aspetto più psiconauta, la visione dello sperimentare qualcosa, il fatto che cioè non è il DJ la star, e io non sono una tua fan, ma diciamo tu stai suonando con me, tu stai muovendo il mio corpo perché io sono il tuo burattino e vado a suoni e questo non lo fai da solo, lo fai in due, quindi prima sicuramente anche chi andava a una festa si metteva in gioco di più e aveva più responsabilità, adesso ci sono per certi versi delle esibizioni, con tutto che: voglio dire, piuttosto che andare in discoteca sicuramente trovo molto di più alle feste e la musica mi piace, però, non so, la magia, un po' si sta andando perdendo, poi non è sicuramente scomparsa. (Intervista a Eleonora)
L'iconografia della trasgressione domina all'interno dei codici di rappresentazione nei raves. Una TAZ, un ambiente, dove sono permessi comportamenti che al di fuori sarebbero censurati. Un mondo parallelo dove si possono compiere atti di trasgressione rispetto alle regole della morale dominante soprattutto nella sfera delle condotte private della sessualità e dell'abuso di bevande e sostanze. I ravers in realtà non sanno cosa sia la trasgressione, ma sanno che c'è una parte di vita che va vissuta in un certo modo.
"Qui, dove fantasia e realtà formano un tutt'uno, il senso comune è spesso ridicolizzato, disgregato e distorto. Immaginazione e realtà sono mescolate tra loro, in un significativo rapporto di attriti e scambi, e il principale luogo di questa interazione è quel territorio così spesso represso che è il corpo" (Chambers, 1986, pag.208).
Il corpo come segno/simbolo, come presenza/linguaggio, prende la sua rivincita non solo sulla scena pubblica. La valorizzazione della corporeità nel ballo conferma come la cultura del corpo sia anche scoperta della relazione con l'altro. E' la verifica - manifestata e percepita in tempo reale - che, mediante il corpo, si esprime un'energia vitale che ci spinge a entrare in contatto con la realtà e con gli altri e ad agire forme di comunicazione spontanea o di comunicazione drammaturgica, secondo le attitudini del momento.
Il carattere transitorio delle relazioni all'interno dei raves rischia di essere più autentico di altri rapporti quotidiani che, pur presentandosi con caratteristiche di continuità o di investimento affettivo, spesso non mantengono le attese di affidabilità, di durata e intensità. In una società dove aumentano i processi di disgregazione delle coppie e di nuclei familiari, e spesso l'orientamento strumentale domina nella scelta delle frequentazioni personali, quanto meno il luogo del rave non mistifica il piano della relazione, tutto si gioca nella dimensione contingente del qui ed ora , senza tuttavia precludere possibilità di rapporti stabili. Negli anni novanta, ritorna la centralità dei linguaggi della musica e della danza e, nel contempo, si affacciano nuove sensibilità di tipo estetico e comunicativo. In questa fase di transizione sociale culturale mutano i codici della comunicazione estetica: si passa dall' estetica della rappresentazione all' estetica della percezione , legata alla prevalenza del sensibile e alla valorizzazione della dimensione comunitaria (Maffesoli, 1993). In piena sintonia con le tendenze più generali, la comunicazione nelle feste rave, si declina attraverso i codici non verbali, i linguaggi dei movimenti e la grammatica degli sguardi, delle posture e dei gesti. Il contatto con l'altro si estrinseca attraverso modalità concrete, tramite una comunicazione di tipo tattile : una comunicazione che ha per unico obiettivo, quello di toccare l'altro, di essere semplicemente in contatto, di partecipare insieme a una forma di socialità gregale. Questa comunicazione tattile è anche una forma di interlocuzione: si parla toccandosi (Maffesoli, 1993).
Lo stesso uso dell'ecstasy si correla più alle proprietà disinibitorie della sostanza nel "mettere in relazione", nel favorire il rapporto con gli altri che non ai suoi effetti performativi per reggere la stanchezza e la fatica dei lunghi riti del ballo. Si parla infatti dell'MDMA come di una sostanza empatogena che abbatte le barriere relazionali nei confronti dell'alterità, nell'incontro con perfetti sconosciuti. Dove si può visibilmente notare la presenza di stati di alterazione, si è osservata una diffusa ricerca del contatto fisico - dello sfiorarsi, del toccarsi - non necessariamente di tipo invasivo, non come molestia ma quasi come atto di disponibilità, di voglia di amicizia, di rassicurazione della "vicinanza" dell'altro, di bisogno di immergersi in un clima fusionale comunitario.
Tuttavia la tensione aggregativa del rito non sembra orientarsi verso alcun valore di tipo universalistico quale l'ideale comunitario che, secondo Maffesoli, tende a sostituire l'ideale democratico, considerato come il tratto distintivo della modernità. Nei rave l'afflato comunitario si può configurare come modalità di partecipazione consapevole a un evento temporalmente e simbolicamente circoscritto. Sono comunità fondate sulla dimensione simbolica, sui climi di partecipazione emozionale a momenti di festa, sul desiderio di effervescenza collettiva di tipo ludico per incrementare la possibilità di integrazione nel gruppo e, quindi per meglio entrare nell'atmosfera dell'unicità dell'evento. In particolare la comunicazione empatica nell'ambito della musica techno si basa su un elevato grado di fusione tra dimensione mentale e dimensione corporea della partecipazione al rito. Si parla "toccandosi" e il corpo si muove "pensando". La techno sollecita la danza del pensiero anziché la danza del corpo. La danza è sempre del corpo, ma con la techno non è mai una danza di conquista, semmai di consonanza con il suono. Si ribadisce una sorta di alleanza tra la sfera della sensibilità e la tecnologia, tra il corpo e la macchina. Il corpo stesso è concepito come soggetto/oggetto di una mutazione di segni che abitano tra il nudo e il vestito, tra gli arabeschi dei tatuaggi e gli anelli dei piercing. La nuova alleanza bioinorganica tra il corpo e le cose, tra la pelle e il metallo, fra le geometrie trasparenti dell'abito e i graffiti dell'epidermide annuncia una fisionomia di corporeità inedita e mutante: le scenografie di rappresentazione tendono a non utilizzare il corpo come semplice supporto per affidarsi a una relazione intima con la fisicità, per aderire o addirittura per oltrepassare i confini e le reti di sensibilità della superficie corporea. Il corpo contemporaneo è ormai la mappa si cui convergono diverse sinestesie e sensibilità pulsionali, è la topografia su cui ibridazioni inorganiche possono innestarsi. Così come corpo e mente vengono sintetizzati nei campionatori dei ritmi techno.
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