... continua capitolo quarto

4.2 L'AUTOGESTIONE DELLO SPAZIO; il mutamento dei significati originari delle zone temporaneamente liberate

"Per viaggiare bisogna varcare la soglia tra il qui e l'altrove, ma anche tra il sé e l'altro; non si tratta unicamente di una soglia materiale, ma anche di una soglia interiore, psichica, oltre la quale ci si dispone a riguardare lo spazio in quanto territorio, luogo delle infinite e mutevoli relazioni tra ciò che vi accade e chi, nell'attraversarlo, ne è assieme testimone e testimonianza. Per viaggiare bisogna disporsi su un unico piano con quanto ci circonda, attraversarlo, lasciandosi attraversare, non solo essere altrove ma anche essere altro. Si può viaggiare all'interno di un appartamento, sul volto di uno sconosciuto, sui resti di un banchetto, sotto un viadotto e persino su un treno ad alta velocità."

Lorenzo Romito(1997)

La storia accelera, muta e con essa cambiano i luoghi ed i loro significati all'interno di una rapida trasformazione di usi e di destinazione d'uso. I luoghi del ballo subiscono una metamorfosi; le fabbriche abbandonate, le chiese sconsacrate, le ex scuole, le cave in disuso, le spiagge, i boschi, i centri commerciali: questi sono i luoghi in cui si consumano i raves illegali. Nel moltiplicarsi degli spazi e degli ambienti avviene il mutamento dei significati originari dei luoghi temporaneamente occupati e nella fluida dinamica di pluralizzazione gli spazi tendono ad acquisire una nuova fisionomia: quella del rave.

Le zone occupate vengono momentaneamente liberate dal significato storico e sociale, fino a quel momento, attribuito loro: esse aprono la porta al rito del ballo, si fanno plasmare dalla musica, prendono nuova vitalità e da strutture di lavoro, da spazi morti e non più utilizzati riscattano se stesse ospitando "il grande raduno" (Del Ferraro, 2001). In tale prospettiva, il rave illegale viene a porsi come una categoria che si definisce e ridefinisce in contesti storici e spaziali diversi, in cui gli status delle strutture o dei luoghi ospitanti vengono di volta in volta ridefiniti e plasmati.

Il rave, dissolvendo le identità originarie dei luoghi, crea le identità transitorie degli spazi che occupa; esso diventa per i luoghi stessi costruzione narrativa del loro io: abiti che fanno la situazione. I raves danno nuovo corpo e una nuova anima ai luoghi che occupano; diventano "luoghi del possibile" (Del Ferraro, 2001) dove si gioca con le architetture attraverso continue metamorfosi. In questo mondo in perenne movimento non si nasconde più alcun ordine naturale, tutto è un caos, ogni cosa è lecita e da luogo di mortificazione, il rave trasforma i luoghi "in templi della carne viva"(Bey, 1993, pag.5). Il rave come una TAZ si impossessa di ogni mezzo ottenibile per realizzarsi, esso verrà alla luce sia in una caverna che in una città spaziale, ma soprattutto vivrà ( ibidem ).

Considerata da secoli e dall'immaginario collettivo il punto massimo d'astrazione del corpo in forza lavoro, la fabbrica attraverso i raves illegali, rompe i canoni di lettura tradizionali e si svincola dalle dinamiche di mercificazione che sempre l'hanno caratterizzata. Le sue mura architettoniche vengono a fondersi con il godimento gioioso dei ravers, identità nomadi che attraversano di continuo i luoghi o i non luoghi, materiali e immateriali della metropoli (Canevacci, De Angelis, Mazzi, 1995), comunicando a queste ultime che l'edificio ospitante può essere qualcosa di diverso rispetto alle tassonomiche etichettature che la cultura eurocentrica gli ha attribuito.

"le feste sono -come abbiamo detto miliardi di volte- sono diciamo, forse, l'estremo massimo a livello di fusione con la musica, fusione con le persone che partecipano ad un evento. E quindi all'interno di questo evento si vengono a creare tutte quelle dinamiche che conosciamo di, diciamo, condivisione dell'emozione e condivisione della musica e il fatto di trovarsi in una situazione estrema, in un posto che è un capannone abbandonato con tantissime persone che più o meno percepiscono la festa "come noi", e quindi questo è un estremo, nel senso che, in altre situazioni non può esserci, non ci sono mai tutte le condizioni che ci sono all'interno di un capannone, per creare la festa." (Intervista ad A034).

All'interno della fabbrica si compie una vera e propria rivoluzione ludica: i ravers trasformano il senso di degradazione che molti lavoratori sperimentano sul posto di lavoro in "festa", in creatività, in convivialità. E' in questo ribaltamento della gerarchia dei ruoli che la cultura rave esplica la sua potenzialità critica e sovversiva.

"Se lo sciopero non è più un gesto rivoluzionario, quale mirabile invenzione è fare la rivoluzione stra-lavorando [perché il rave è iperproduzione simbolica] in una fabbrica che non c'è più. Trasformare il lavoro in vita nello spazio in cui il lavoro è fuggito"(Natella, Tinari, 1996, pag.14).

Trasformazione dunque del mondo del lavoro in mondo ludico: da un mondo di confusione burocratica, di capi ottusi che sfruttano e tiranneggiano i loro subordinati, di discriminazioni sessuali, la fabbrica diventa luogo di libertà, di confronto, di sperimentazione, ma soprattutto diviene luogo "indisciplinato"(Del Ferraro, 2001).

Emerge così un'altro aspetto: luoghi nati, pensati e progettati per avere tutt'altro ruolo, si trovano ad ampliare le potenzialità della propria modalità d'uso, per ritrovare se stessi sotto nuove parvenze. I vecchi modelli di riferimento sono divenuti ormai obsoleti e le etichette sono diventate inadeguate per rappresentare l'attuale grande fluidità ed intersecazione delle tendenze culturali. Strutture dimenticate accolgono un nuovo modo di vivere, si aprono a eventi inediti, accolgono desideri individuali e collettivi, si rendono vivi e propensi ad una nuova logica: quella che fa reagire lo spazio tra la copertura esteriore e la potenzialità sottesa in esso. Tutti i beni (e gli edifici) sono portatori di significato, ma nessun bene ha un suo significato autonomo: il significato dei beni, sta nella loro destinazione d'uso; e attraverso i raves, gli spazi considerati spazzatura dei tempi riscattano se stessi nell'unico modo possibile: quello di essere "usati"(Del Ferraro, 2001).

L'istanza distruttiva, quindi, creata dai ravers nei confronti dei significati dei luoghi temporaneamente occupati, coincide simultaneamente con quella costruttiva: i raves, evidenziano, infatti, come ci siano luoghi di scambio tra le diverse realtà compresenti, come esistano spazi all'interno dei quali poter tradurre le differenti espressioni dei modi d'uso del territorio ed evidenziano, infine, come esista la possibilità d'individuare un nuovo sistema di spazi, dove proliferano relazioni di tipo intenzionale con il territorio e dove si sperimentano nuovi modi di comunicare.

"come cosmopoliti senza radici cercano frammenti variabili per sintetizzare da questo ammasso di schegge, un sistema vivibile, così da non divenire schiavi di quella di qualcun altro"(Bey, 1993, pag.18)

La città postmoderna è lo scenario tipico della nascita e della moltiplicazione dei luoghi in cui i giovani si riappropriano dei loro percorsi attraverso una ri-occupazione dello spazio, in cui collettivizzano saperi ed esperienze creando sistemi di significati altri. La creazione di "altri codici" (Melucci, 1984), passa per la percezione di appartenere ad una comunità che agisce la città per ridefinire il presente, senza lontani miraggi di futuri migliori ma anzi con la pratica quotidiana di comportamenti antisistemici.

"questo piccolo gruppo ha cominciato a fare queste feste di cui ti ho parlato a cui ne sono seguite altre due o tre sempre nei boschi, e poi si è trovato un posto a Torino, un posto cross-line perché era ai murazzi; alle arcate, in gestione all'A.R.C.I., quindi una specie di zona franca, in cui l'unico vincolo, pensa che ironia, era che tu non potevi far pagare l'ingresso perché era un posto pubblico. All'interno di questo posto, erano tre arcate praticamente, noi abbiamo cominciato a fare dei party, circa una volta al mese, con una progressione geometrica dei partecipanti in cui si passava da duecento, seicento a duemila fino ad arrivare ad avere alle tre di notte praticamente la coda per entrare che arrivava fino in piazza Vittorio.e la cosa si è assolutamente ingrandita.

Poi abbiamo fatto ancora una storia così al mulino, che era un altro posto strano perché era una vecchia zona industriale che ci aveva fatto avere un architetto-scenografo, che ci ha lasciato un po' di spazi, compresa la parte fuori vicino al fiume, diciamo un bel posto, una bella storia, dove abbiamo fatto un festone dove c'erano duemila persone in delirio fino al giorno dopo. E all'epoca, insomma, erano cose che hanno lasciato il segno." (Intervista a Stek)

Non ci sono progetti documentabili. Non ci sono progetti possibili. C'è però la possibilità di derivare una strategia per il progetto urbano dal modo di usare certi luoghi da parte dei raver. Dalla loro capacità di "vestire per la festa" edifici dimenticati. I rave hanno la capacità di suggerire un modo di vivere, far vivere, lo spazio dimenticato delle città.

"Chiaramente è il sound system, cioè il concetto di gruppo di amici che si prende due o tre mezzi, si carica un impianto e un generatore e vanno in giro per vivere facendo party e suonando eccetera è forse l'unica via di fuga romantica che la società oggi ci offre..Cioè non ci sono altre frontiere, forse fra un po' lo spazio sarà alla portata e i giovani andranno alla conquista.cioè però hai capito..al momento questo abbiamo.o a questo dobbiamo ritornare.indubbiamente anche questo cioè poi volendo lo puoi anche pensare come un.potrebbe essere un segnale di un nuovo modo di organizzare le cose: cioè dal concetto di locazione fissa al concetto di locazione mobile, in un certo senso la tecnologia ci consentirebbe di svincolarci dalla residenza fissa. l'economia non lo so. Il tele-lavoro potrebbe anche renderti possibile di avere un lavoro fisso in un certo senso ma non essere legato geograficamente a un posto. Quindi un concetto rivoluzionario rispetto alla concezione di città; che potrebbe essere solo un centro di servizi di riferimento per un'area in cui la gente si sposta, va, viaggia. se lo proietti in un certo modo puoi anche vederlo come un futuro possibile." (Intervista a Stek).

Il modo di usare questi luoghi delle città da parte di questo "popolo" insegna come si a possibile per la città stessa aprirsi a eventi inediti proprio recuperando, restituendo a sé, quei luoghi che, separati dal loro senso originario, sono diventati putrescenza nel suo tessuto. Tanto più che, spesso, queste presenze fastidiose -residui di natura, fabbriche ormai inutilizzate, infrastrutture- costituiscono, per quella che è la loro storia, una lacerazione unitaria nel tessuto urbano: ovvero un insieme oggi destrutturato a seguito della scomparsa del lavoro produttivo per ospitare il quale erano state edificate, ma, se osservate con uno sguardo positivo, suscettibili tornare ad essere struttura per una successione di spazi inediti perché, anche se fisicamente dati, usati in modo dimentico del loro senso originario, usati per la messa in scena di desideri individuali. In questo scenario di possibilità osservate si intravede l'opportunità per il progetto di architettura di intervenire a interpretare, e dunque mettere in forma, rendere concrete, le occasioni contenute nella parte più sporca della città. Certo, un progetto che rinunci in prima istanza alla pretesa di fare "luoghi" dove gruppi "umani" debbano svolgere "attività". Un progetto che al contrario, inventi la possibilità di costruire un'architettura mai finita, data solo come occasione di essere di figure e relazioni rese temporaneamente leggibili solo dall'evento, dall'attraversamento; pronte a tornare potenziali al consumarsi dell'evento, al trascorrere dell'attraversamento. Costruire lo spazio a mezzo di una tecnica industriale smaterializzata (elettronica). Che sappia sapientemente ereditare dal mondo dell'industria la serialità degli elementi e la tecnica dell'assemblaggio e, dal mondo dell'elettronica, la leggerezza, la velocità, la non matericità.

"già il posto era magico e l'arrivarci di notte, cioè all'alba è stato magico. Era il party di agosto, cioè di ferragosto, praticamente il grande teknival al sud della Francia, che si faceva a quell'epoca vicino a Narbonne, sulla costa dove ci sono quelle distese di spiaggia, di sabbia, sul mare. e tu passi delle specie di lagune prima di arrivare col sentierino e lì i camion si incagliavano e succedeva l'ira di dio eccetera, e poi si formavano le carovane sui deserti di sabbia, senza strade segnate. tu arrivi di notte e non sai dove sei, sei sulla luna, praticamente, perché non vedi niente al di là dei fari, al di là delle luci de fari c'è solo sabbia bianca. poi ad un certo punto arrivi verso delle luci e non capisci e dici: "no, stiamo tornando indietro verso la città, verso il paese, stiamo sbagliando strada".e poi invece ti rendi conto che quelle luci- è il teknival!- e dici "no! Non ci posso credere!" Cioè, era veramente un incrocio tra il paese dei balocchi e un campo profughi,c'era veramente di tutto, una cattedrale nel deserto, e c'era un accampamento esagerato a quell'epoca perché veramente c'era un botto di gente, tipo trentamila persone, ci saranno state tipo duemila tende, una roba così.Calcola che c'erano trenta sound systems..ed è stato molto bello e anche molto duro.Ma sicuramente vivevi in quel momento, e quei giorni li, vivi in una comunità, in una specie di campo berbero.è una comunità e si crea un paese perché comunque poi lo vedi si creano dei percorsi, delle strade, delle geografie del posto, per cui anche tutti quei punti di riferimento: ci sono le passeggiate, e via dicendo, per cui lo vivi veramente come essere trasportati in un altro mondo. Nel momento in cui magari andavamo in paese, a prenderci delle robe o delle cose che ci servivano, la geometria così pulita del paese, poi soprattutto lì dove il paese è un porticciolo anche turistico, per cui anche proprio un po' carino.e la cosa è fastidiosa in un certo senso, perché tu arrivavi da questo grumo di carne e metallo incrostata che era questo accampamento.." (Intervista a Stek).

4.3 RAVE COME SPAZIO LUDICO DI TRANSITO E LUOGO DELL'ATTRAVERSAMENTO

Attraversare è per noi un atto creativo, vuol dire creare un sistema di relazioni nella caotica giustapposizione di tempi e spazi che caratterizza l'attuale geografia del pianeta. Attraversare vuol dire comporre in un unico percorso conoscitivo le stridenti contraddizioni che animano i luoghi, alla ricerca di inedite armonie. Attraversare e far attraversare, indurre alla percezione del territorio perché se ne diffonda la consapevolezza, salvandone però il senso dalle banalizzazioni del linguaggio. Lorenzo Romito(1997)

"L'uomo ama costruire e tracciar delle strade, è indiscutibile. Ma perché mai egli ama fino alla passione anche la distruzione e il caos?". Forse perché l'uomo "come il giocatore di scacchi, non ama che il processo attraverso il quale raggiunge il fine, e non il fine stesso (.). Infatti egli sente che, non appena l'avrà trovato, non ci sarà più nulla da cercare" (Dostojevskij 1988, p.34).

"Può darsi che l'uomo non ami la sola prosperità. Può darsi che ami esattamente altrettanto la sofferenza. Può darsi che proprio la sofferenza gli sia esattamente altrettanto vantaggiosa quanto la prosperità. E l'uomo a volte ama immensamente la sofferenza, fino alla passione, anche questo è un fatto" ( Ilardi, 1997, pag.35).

La sofferenza, dunque, come ribellione di chi, privo di ricchezza e di potere, sceglie, per diventare individuo, di vivere la sua esistenza di talpa nei sottosuoli della metropoli. Perché è nei sottosuoli, lontano dal mite buon senso dell'uomo comune, che si può sognare un pollaio come un palazzo, che si può vivere e desiderare ancora, magari anche un castello dove abitare. Si possono annullare i desideri, cancellare gli ideali ma resta sempre il sottosuolo per rimanere individuo.

Ed è questo desiderio di libertà a creare il paradosso, l'assurdo: e cioè che l'individuo come singolo è più forte dell'interesse generale, del bene comune, dei valori universali. E' la libertà della scelta tra sofferenza e mediocrità gregaria a trasformare l'uomo che sceglie il sottosuolo in un individuo che non è quello dei diritti, ma solo quello che esiste nel mondo che affronta la piena e solitaria responsabilità del proprio percorso di vita. E' la libertà della scelta che sospende l'etica universale in nome del singolo.

Nella metropoli contemporanea ci troviamo di fronte a questo individualismo estremo, a questa ricerca esasperata del particolare sempre più libero da esigenze di conferma da parte di una comunità.

I sistemi di governo devono allora misurare la loro efficacia nei luoghi dove l'assenza della città è assoluta. Dove la comunità politica è annientata. Nei luoghi dell'attraversamento metropolitano : i rave. Sono questi i nuovi territori dello spazio pubblico, dove i vincoli delle consuetudini, delle regole, della legalità sono spezzati e trionfa la libertà più estrema. Libertà materiale come esercizio pratico di appropriazione di consumi. Una volta la piazza era il luogo della modernità, che fondava le relazioni sociali e la politica. In alcuni casi sono rimasti i vecchi centri storici, ma sono muti, privi di legami sociali e di memoria collettiva, sculture inorganiche che trovano significato solo in se stesse. Chi li abita sa bene ormai che un'identità senz'anima e senza storia attraversa le sue piazze, i suoi vicoli, le sue strade vissute ormai non più come intérieur, ma solo come spazi dell' attraverso.

Con l'avvento della società postindustriale la separazione tra il dentro e il fuori cade, "la razionalità geometrica di volumi e funzioni si sgretola progressivamente, mutano i luoghi e i loro significati all'interno di una rapida e non indolore trasformazione di usi e di destinazione d'uso". ( Ilardi, 1990 )

Non si governa oggi un territorio metropolitano se non riducendo all'ordine queste atopie create non dalla collettività ma dai percorsi individuali delle nuove figure sociali. Qui lo spazio non rappresenta più una concezione del mondo ma della vita di ciascun individuo. Diventa l'esatta riproduzione della sua mente.

Nella metropoli contemporanea, ogni nuova piazza inaugurata, ogni nuovo portico realizzato sembra destinato a produrre un senso di frustrazione, di spaesamento, una alterità, un'esaltazione del senso di indeterminatezza. La gente, nella piazza non ci va neanche la domenica, va nei centri commerciali, in discoteca, allo stadio, nei parchi giochi. E durante la settimana frequenta sempre più assiduamente gli autogrill, e le stazioni ferroviarie o le sale d'attesa degli aeroporti. E poi si incontra nei parcheggi multipiano o ai rave notturni o dio sa dove. Ma non nelle piazze: a dispetto degli architetti e degli amministratori. Nella metropoli contemporanea, pulviscolare ed erratica, atopica e discontinua, gli architetti non riescono più a costruire nessuna identità convincente dello spazio urbano. Le piazze, i portici, i corsi, ma infine le stesse strade e le vie sembrano non trovare più alcuna identità, non avere letteralmente più alcun senso nelle conurbazioni contemporanee.

Forse quel che non è più utilizzabile è il meccanismo che per circa duemila anni ha legato lo spazio pubblico dell'assetto sociale, che attraverso l'identità ha legato nel tempo l'agire politico delle persone agli spazi fisici della città. Accorgendoci tardivamente dell'inutilizzabilità delle categorie spaziali storiche e anche di quelle moderne, ci dobbiamo rendere conto di quanto abbiamo giornalmente sotto gli occhi. E cioè di quanto tempo sia passato da quando la sera, sui corsi, sulle belle piazze dei paesi italiani, ci si incontrava per annettere la propria storia a quella collettiva: e si alimentava il senso della propria identità attraverso l'uso dello spazio. Quello che è andato in rovina è il patto che per duemila anni ha legato lo spazio pubblico alla società civile e che ha reso possibile, attraverso la dotazione dell'identità, la trasformazione dello spazio in luogo.

Nella metropoli contemporanea, è come se la piazza rimanesse necessariamente muto spazio incapace di diventare luogo. Lo spazio pubblico della strada viene sottratto al cittadino e gli è restituito, in sua vece, uno spazio supervisionato, illuminato da ben altre luci che quelle deboli, e quindi ormai insufficienti, dei lampioni. Illuminare le strade significa renderle visibili, poterne scandagliare ogni centimetro al pari dei corpi frugati, esposti, strappati dai margini incerti che sono zone d'ombra, e quindi incerti che devono essere frugati. Così avviene la distruzione dello spazio accessibile al pubblico. Nella strada i corpi costituiscono il piano su cui si esercita uno dei molti aspetti della supervisione tecnologica. Basti pensare alla miriade di telecamere, allarmi, cellule fotoelettriche disseminate in prossimità delle stazioni della metropolitana, vicino alle banche, agli uffici. Ecco perché è sempre più difficile parlare di folla composta da individui che magari oziano, si incontrano, vanno lavorare o a fare la spesa, poiché sempre di più lo scenario urbano ci offre una sorta di circuito obbligato, attraverso il quale si passa, non ci si ferma e ci si offre all'occhio instancabile delle telecamere. Secondo Michel Foucault è a partire dall'età moderna che il problema del controllo assume una rilevanza strategica tesa a sostenere la funzione amministrativa dello stato. Così dobbiamo considerare il peso che la maschera, la chiacchiera della paura esercitano sul nostro quotidiano e i meccanismi di produzione del panico sociale studiati da almeno trent'anni da diverse scuole sociologiche (dalla Labelling theory alla teoria conflittuale della devianza fino alle ricerche della scuola foucaultiana).

La vita pubblica dunque si è spostata altrove e continuare a ragionare utilizzando le vecchie categorie di ordinamento spaziale equivale oggi a garantire un effetto di desolazione, di accentuato disorientamento, di stridente e paradossale spaesamento. Uno degli spazi dove si è spostata la vita pubblica è il rave, ma esso non è un luogo fisico e univoco dove la gente va a costruire la propria identità sociale, anzi la gente in questi posti va a comprare il proprio diritto all'anonimato e a decostruire il suo ruolo sociale. Un IO multiplo e partecipe affolla questi spazi. La gente che liberamente sceglie di vivere questi spazi, non trova né cerca alcuna identità formale nella quale radicarsi.

Lo spazio dei raves è uno spazio fortemente caratterizzato da tante cose meno che dall'architettura: allestimenti, illuminazioni, monitor, amplificatori, proiezioni e ologrammi, frammenti di prodotti industriali che fanno "immaginario", queste architetture in continuo mutamento ci permettono di riconoscerlo anche senza conoscere la struttura, in ogni luogo. Il contrario del luogo nella direzione dell'eccesso. Un iperluogo dove incessantemente è dispiegata la tensione a uno straordinario quotidiano definitivamente separato dal normale delle cose reali.

Massimo Canevacci (1997) esprime una critica durissima alle posizioni di Augè, egli accusa l'antropologo francese di restituirci, attraverso i suoi "non luoghi", una metropoli normalizzata e rassicurante. Una metropoli asettica dove il conflitto viene circoscritto e neutralizzato dentro giochi semiotici o simbolici. Perché per Marc Augé il non-luogo è lo spazio non simbolizzato, lo spazio di mediazioni non umane fra l'individuo e la potenza collettiva e dove si impongono esperienze di nuove solitudini:

""Se il luogo antropologico era definito dall'identità, la convivenza del linguaggio, i punti di riferimento del paesaggio, le regole non formulate del saper vivere.il non luogo crea l'identità condivisa dei passeggeri.lo spazio del non luogo non crea né l'identità singola, né relazione, ma solitudine e similitudine" (Augé, 1993, pp. 87-178).

La città senza luoghi dei raves è ben diversa: disegnata da figure sociali che dissolvono i legami tradizionali e i luoghi istituzionali del potere, attraversata da conflitti radicali perché materiali, liberata dall'etica del lavoro e dalla miseria della cittadinanza. Le atopie che qui vengono proposte alla riflessione del lettore sono le nuove frontiere di una nuova società che si sta costruendo. Qui lo spazio prende significato e forma dai percorsi individuali che sciolgono ogni vincolo preesistente e ogni valore comunitario e universale. Qui caos e anarchia servono a far nascere la libertà di produrre il nulla.

Massimo Ilardi (1990), ha elaborato Il concetto di città senza luogo , il senza-luogo si presenta denso di conflitti, offre contesti mobili di innovazione e di sovvertimento che partono dalle periferie, osservate con sguardi in genere bloccati da tradizionali folclorismi e ora invece viste come frattali ingovernabili in costante sommovimento e turbamento. Il senza-luogo configura la metropoli come nuovo soggetto plurale che dissolve i luoghi istituzionali del potere e del governo - i luoghi di pietra- e che, nella sua scomposta materialità produttiva di consumi e comunicazioni, di conflitti e di transiti, succede alla logica fordista di società e offre la metropoli come il nuovo contesto: il contesto dei contesti, il metacontesto che spinge verso nuove epistemologie e nuove visioni, i cui territori dilatati e ingovernabili sono attraversati da conflitti radicali e dalle irriducibili differenze dei nuovi soggetti metropolitani.

"I raves sono luoghi dove emergono e si creano identità singole e collettive, dove si è parte integrante con un gruppo di persone che trovano, in un uniformità sovracontestuale, l'integrazione con le tante individualità che provvisoriamente occupano quegli spazi"(Del Ferraro, 2001).

Il disinteresse generale verso le alchimie parlamentari e le riforme "epocali" dimostra che l'agire politico oggi vive fuori dal progetto, dal partito, dalle istituzioni. Se iniziativa politica vuol dire capacità di cambiare lo stato di cose esistente, di possedere e di comunicare una chiara conoscenza della realtà, di organizzare situazioni conflittuali in cui mettere in crisi qualsiasi forma tradizionale di potere, allora si può affermare che oggi c'è più politica in una festa rave che in una sede di partito.

I raves costituiscono una buona nicchia per la relazione sociale e un buon mezzo per rappresentare tratti identitari condivisi dai suoi frequentatori. Essi sono spazi all'interno dei quali le persone, pur mantenendo il proprio anonimato, aggiungono un pezzo di puzzle alla propria identità. Durante la festa, relazionandosi con gli altri o rimanendo soli si è comunque investiti di significati esperienziali che ti fanno riconoscere nell'evento a cui stai partecipando. Infatti i raves non potrebbero non costituirsi intorno al consenso di chi ne fruisce, ognuno in rappresentanza di categorie sociali e motivazioni sempre più diversificate.

".sono andata alle feste con le migliori ipotesi, e la miglior voglia di sperimentazione, verso le droghe, la musica, e comunque le situazioni; ero fuori casa, facevo l'accademia di belle arti, avevo tutti i miei flash comunque, ascoltavo sempre musica tutto il giorno, quindi andavo a una festa comunque carica di cose, di voglia di sperimentare con i miei occhi con i miei sensi, e presupponevo di essere in un lavoro collettivo, totale, volto in questa direzione.[.] se vado a un party è perché mi interessa proprio per la musica, poi appunto quello che mi piace è questo: della situazione illegale mi piace il creare un qualche cosa che ha altre leggi, il fatto di far vivere un spazio che è abbandonato, e riguardarlo in un altro modo, cambiare i punti di vista sulle cose, non riesco a divertirmi quando sento che il mio divertimento è un business." (Intervista a Eleonora)

Nel rave l'uso dello spazio ammette chiunque al suo consumo e l'identità dei luoghi non può essere che mista, inventiva, comunicativa. Lo spazio è un luogo da praticare, e i ravers movendosi, trasformano una struttura o un luogo in rave. In un parallelo fra il luogo, come insieme di elementi coesistenti, e lo spazio come animazione e mutazione di tali elementi Entrare in un mondo e avervi libertà di movimento e novità: questo è anche il rave. Attraversare, conoscere, investigare e creare luoghi alternativi nel presente è essenzialmente un atto di sperimentazione creativa (Del Ferraro, 2001).

I raves sono luoghi provvisori, luoghi dell'attraversamento e del possibile, rappresentano una geografia dei percorsi nomadi, contrapponendosi ai luoghi dell'omologazione. Avviene una metamorfosi tra luoghi e non luoghi; l'interdizione di un luogo non inibisce una pratica e gli orientamenti e le preferenze dei giovani non sono modificabili per decreto. A tutt'oggi sulle scene del ballo contemporaneo permane una netta contrapposizione tra l'area delle offerte commerciali e l'area del movimento dei free party, soprattutto ad opera delle istanze militanti che in molteplici occasioni attaccano la logica del divertimentificio del sistema economico del loisir. Osserva Demian, pseudonimo di un raver che pratica la deindividualizzazione anche nel firmarsi come autore:

"il divertimento non è una merce da comprare perché risiede in ognuno di noi, ed è la sua espressione in contesti autogestiti in movimento che permette di innescare il processo di liberazione. Mi chiedo quale creatività può svilupparsi in una situazione costituita da un biglietto di entrata, un diritto di selezione a seconda della presunta aderenza ad uno status sociale, un'organizzazione poliziesca nazista paramilitare chiamata servizio d'ordine, [.] seni e culi messi in evidenza dentro alcune gabbie per placare la morbosità qualunquista italiana (Demian, in Natella - Tinari,1996, pag.54).

Ribadisce Alter8, altra scheggia di militanza nell'anonimato della sigla:

"lo spazio della discoteca viene suddiviso in micromuretti da difendere contro l'invasore di altre zone. Il solito circolo vizioso della frammentazione dell'odio reciproco, funzionale al mantenimento di chi, si questo gioco insulso, guadagna potere. Questa è poi la base di una stratificazione gerarchica che ha al suo top i dee-jay . [.] Le discoteche altro non sono che le ennesime agenzie di socializzazione secondaria funzionale all'ordine pattuito in cui aleggia anche lo spettro dei valori di arrivismo, esclusione sociale, potere (Alter8, 1997, pag.246).

Gli orizzonti del futuro non sono ancora definiti e i ravers sfuggono ad ogni tentativo di classificazione perché il singolo individuo può mutare le proprie scelte nell'arco di pochi mesi o settimane, in sintonia con un gruppo di amici, con le suggestioni di una musica o di una serata, aderendo alle emozioni di un nuovo amore. Soprattutto negli ultimi anni si è registrata una dinamica di pluralizzazione delle pratiche e dei luoghi delle feste danzanti.

La predominanza della dimensione del transito suggerisce una obsolescenza dei luoghi in favore di un incremento esponenziale di incursioni-appropriazioni temporanee degli spazi. I momenti della partenza e dell'arrivo si stemperano sulla superficie del transito. I luoghi di passaggio definiscono contesti di interazione sociale e di strategie decisionali che possono cambiare con rapidità, a seconda dell'umore del momento, della seduzione di un incontro, della lusinga di un'offerta. Nella società contemporanea gli itinerari e i riti del ballo paiono dispiegarsi liberamente tra luoghi e non luoghi, transiti ed eterotopie, aderendo ai ritmi dei suoni musicali e ai timbri dei moti interiori, consapevoli che "danzare vuol dire inscrivere la musica nello spazio" (Rouget, 1986, p.167). D'altro canto, sottolinea Marc Augé, il luogo e il non luogo non esistono mai in forma pura, si presentano piuttosto come delle polarità sfuggenti: sono palinsesti in cui di reinscrive il gioco misto dell'identità e della relazione (Augé, 1993, pag.74).

Negli ultimi anni prevale l'attitudine all'attraversamento concentrata in un arco temporale limitato, la domanda si orienta verso contesti che pongano minori vincoli e che offrano climi di novità e di libertà: le opzioni vanno sempre più verso le feste autogestite. Si nota infatti una certa insofferenza nei confronti della pesantezza di apparati e procedure: si è alla ricerca di occasioni più spontanee di aggregazione, di spazi liberi da griglie e obblighi. Nella logica del controllo sociale il non luogo diventa così lo spazio interdetto , la scena del reato, il palcoscenico dell'espiazione. Si mira al non luogo per colpire il luogo.

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