NODE Festival - PARTE 2: 4 performance
La serata sarebbe stata dedicata a 4 performance in ordine di pulsazioni ritmiche.
I Deaf Center sono i norvegesi Erik Skodvin e Otto Totland, la loro musica è stata accompagnata da un visual di Claudio Sinatti già protagonista in questa giornata.
Le sonorità elettroniche, IDM, ambientali mischiano la strumentazione tradizionale con laptop ed effetti; il suono della chitarra elettrica suonata a mo' di violino sembra un canto proveniente da un punto non definito, mentre si sta soli in una foresta silenziosa; gli alberi cadono, il vento li scuote da dentro, ma tutto si consuma nel silenzio. Archetto che sembra una lama, acuto morbido tagliente. Evocazione del colore bianco che va a permeare ogni cosa.
Il pianoforte è uno degli strumenti classici per eccellenza e contribuisce a dare il sapore del ricordo che emerge in riverbero, del passato e costruisce accordi pestati e melodie che stringono la gola.
Il visual reagisce all'intensità delle note suonate dal pianoforte, si allarga si stringe, ora ci sono forme nuove, dai colori precisi e forti, i colori caldi non riescono a trasmettere calore e si perdono nell'universo nero. Rappresentazione di noi stessi mentre ci allontaniamo e ci avviciniamo a ciò che siamo e qualcosa di luminoso ad un certo punto emerge dal profondo. Sensazione totale.
L'atmosfera cambia completamente con Kangding Ray – David Lettelier, rovinato un po' come tutti gli altri dalla troppa rifrazione delle casse. La caratteristica che emerge immediatamente è l'aspetto vocale, che sarà l'elemento di riverbero principale tra tutti i suoni e ritmi; si alternano brevi frasi o parole intonate e anche sequenze parlate/sospirate classiche in questo tipo di stile.
La miscela di KR è composta principalmente da vari aspetti dell'elettronica come il glitch, i loop, ritmi sia spezzati in levare, sia in 4/4 molto marcati, successione fra suoni morbidi e suoni più squadrati, a tratti ricorda l'indietronica di Schnauss. Una proposta molto energica, attiva, che evoca colori e diversi tipi di melodie, anche se rimane sempre qualcosa di cupo e vellutato alla base.
Un peccato avere un'immagine fissa al posto del visual e ascoltare le tracce una per una senza continuità di esecuzione, come se si stesse ascoltando un CD.
Aoki Takamasa è un figurino saltellante che governa due laptop e un mixer messo quasi a 90° che lo copre completamente; un suono ritmato come un metronomo sintetizzato raggruppa il silenzio, che sarebbe stato poi riempito con scariche ritmiche nella parte iniziale spezzate, improvvisate, in levare, in continuo cambiamento e che durante l'esecuzione prendono una forma più eclettica, con l'utilizzo di campionamenti vocali maschili e femminili spesso utilizzati in loop.
Si intravedono anche spruzzi di distorsioni e l'inserimento di suoni balenanti che distraggono d'improvviso dal ritmo principale, a cui l'orecchio si abitua facilmente.
Il risultato è anche qui un'elettronica elastica, che, sebbene abbia come base le regole della minimal techno, riesce comunque ad avere quell'elemento originale e di arricchimento. Anche Aoki non opta per il visual, ma si tinge di arancione grazie ad un faretto puntato dal pavimento verso l'alto, quasi a formare un debole fuoco virtuale sul telo da proiezione posto sul retro.
Il resto della serata è affidato alle mani di Deer – Martin Hirsch, con un suono minimal techno più sofisticato e puro rispetto ai suoni variegati di Takamasa. Base lineare come anche il visual retrostante a cura di Suicase.org ; sembra di osservare una strada con un teleobiettivo spinto con pochissima profondità di campo, ora in un senso e ora in un altro si alternano le luci anteriori e posteriori bianche e rosse; la visione è come sfocata e ampliata da una foschia immaginaria. Gioco di riverberi delicati, cassa in 4/4 rotonda e vellutata, qualche arricchimento con distorsioni e suoni più acquatici, dilatati e a tratti tendenti leggermente alla house.
Il pubblico ormai era già in piedi da un pezzo.