Una serata aspettata a lungo, che però si tinge un poco di tensione fin da subito viste le vicissitudini con la strada – indicazioni dimenticate, la memoria che ricorda solo il nome della via e numero, persi a girovagare tra i lavori e le gialle deviazioni. “Piccolo” problema che fa saltare la prima performance assegnata a D.B.P.I.T. [Der Bekannte Post Industrielle Trompeter], siamo riusciti comunque a recuperare una foto (grazie a Septic e Artemisia).
All’arrivo come di consuetudine ci aspetta la tessera da far obliterare ogni volta che ci si darà al beveraggio, mentre richiami di musica ci attirano verso il cuore della serata.
On stage i Malato, tenuta molto elegante, posata, austera, “diplomazia” futurista, dadaista e colta tutte messe insieme, che traspare non solo nell’immagine, ma anche e soprattutto nei suoni, nelle parole/manifesto recitate e pronunciate dal vocalist DarkYota.
Il nobilissimo e nostalgico theremin che accompagna ogni pezzo, vecchie strumentazioni elettroniche anni ’60 che farebbero impazzire dei fanatici collezionisti ma anche ricordare a chi ha abbastanza anni per aver vissuto e toccato, atmosfera cupa, echeggiante.
Un dandy industriale che a poco a poco si spoglia delle vesti e delle etichette, tra fumo, luci rosse e verdi che nel buio illuminano il corpo e la musica.
Un viaggio frenetico, il ritmo che sempre più si fa spazio nel profondo, un secondo piano che diventa primo, un’inversione di poli, di marcia, di rotta, cambiamento radicale continuo.
Come un soffio e il sipario viene già tirato.
Mi chiedo perché le fabbriche abbandonate vengano tristemente abbattute, quando invece sembrano essere lì apposta, trepidanti per ospitare un evento simile (la domanda è palesemente retorica, poiché si sa che dietro a tutto c’è il business dei fattoni da supermercato).
Il degrado, la distruzione, l’abbandono, i suoni che risuonano malati nel vuoto e arrivano distorti da un lontano indefinito, modulati dalle fredde pareti ancora in vita …
Posso dire che uno scenario simile avrebbe arricchito ancora di più la musica, la filosofia, il messaggio, il sound dei gruppi presenti alla serata, sarebbe stato davvero l’ideale.
Il soffio dei Teatro Satanico è ugualmente breve, troppo forse per riuscire ad entrare in sintonia con il gruppo, il rumore, il ritmo, le parole. Una vecchia valigia di quelle che non si vedono più, che funge da cappello da prestigiatore e dalla quale vengono estratte storie e visioni all’apparenza più strambe, la provocazione, la blasfemia, la tenerezza che inquieta e turba, sapore di sangue e vendetta, la bambola di porcellana che tanto senza vita non è, il ballo di Woland sempre accomodante e incantevole, una novella desaturata in bianco e nero apposta per far risaltare le macchie scarlatte...
Techno filastrocche, una cassa dritta molto morbida e gonfia in sottofondo, una voce distorta che urla, salta e recita storie. Teatralità che non scade nel banale, che però risulta depotenziata da un impianto non adatto a questo genere di sonorità (mancavano dei bassi più potenti in frequenza).
Successivamente è l’installazione di Bad Sector che si fa largo tra la folla già pronta per allontanarsi dal palco. Anche questa risulta essere di breve durata, ancor più inafferrabile delle precedenti due.
Ciò che si capta è un ambient melodico, penetrante, trascinante, accompagnato da visual che perdono di forma più ci si avvicina al palco, penso che una visione da metà sala fosse più adatta.
Personalmente avrei messo queste melodie e frequenze a seguito dei Whitehouse, al posto della solita pappa-playlist surgelata e tirata fuori ogni volta già pronta. Dopo una performance sterminante era il caso di mettersi tranquilli e lasciarsi trascinare, ma soprattutto riposare l’apparato uditivo in subbuglio.
Ancora il rosso velluto viene tirato per occultare la preparazione degli artisti successivi, ovvero i Black Sun Production. Il gruppo è sicuramente interessante nelle sonorità, nelle atmosfere, ha la garanzia di essere considerato come successore dei Coil, ma questa sera penso che abbia deluso più persone e anche me in prima persona (tralascio ovviamente i problemi tecnici che ci sono stati e di cui non ho afferrato la natura). Ho percepito la teatralità dei BSP più lontana, come se a volte non riuscisse a raggiungere il pubblico nel profondo. Penso che i problemi che hanno ritardato e prolungato l’esibizione abbiano contribuito a quella specie di ripetitività di suoni e ritmi che ha sciolto l’atmosfera iniziale. Sottolineo a questo proposito che l’apertura e la parte antecedente all’interruzione più o meno in generale sono state suggestive e l’elemento teatrale attraeva musicalmente e tematicamente.
Ultimo sipario e si freme per i Whitehouse; si comincia a fantasticare su ciò che ci attende dall’altra parte, quale violenza, quali suoni, quali pericoli per chi sarà sotto al palco…
Devastanti, ipnotici, brutali, impetuosi, eccitanti, come una botta che sale prima del previsto e invade qualsiasi cosa faccia parte di te e oltre. Ci si aspettava di correre seri “rischi” stando vicino allo stage, come l’immagine macchine fotografiche che sparivano o cose gettate addosso come vorrebbe la tradizione live industriale (quella vera), ma il loro furore è stato piuttosto giocoso, simpatico, ironico; assurde erano le espressioni di corpo e viso, saltelli, strizzamenti di capezzoli, urla che irrigidivano le carotidi ma che lasciavano libera la sanissima panza, balletti a mo di maghi da strapazzo del “quando lo dico io”, un divertimento devastante che coinvolgeva positivamente anche il pubblico che non è scappato via.
C’erano momenti in cui le distorsioni acquisivano una particolare melodia, forse percepibile in modo diverso da ogni persona; si era combattuti tra l’immortalare con quanti più scatti una performance che va al di là della seriosità/immagine forzata di gruppi nuovi calcanti certe scene e il lasciarsi prendere, chiudere gli occhi e vedere i fosfeni causati dal contrasto buio/strobo accecante fluttuare, modificarsi, scomparire…
L’importante è il messaggio, non il genere musicale, l’apparenza, l’etichetta, lo sostenevano i Throbbing Gristle e chi si aspetta qualcosa di definito/copia/simile dalla musica industriale è giusto che si renda ben conto di questa cosa e vada direttamente al cuore di ciò che gli artisti vogliono trasmettere.
Chiusura secca, senza possibilità di repliche, nessun tempo per acclamare, perché il sipario viene definitivamente chiuso come un’insindacabile porta in faccia.
La nostra serata non sarebbe durata ancora molto, qualche giro tra gli stand presenti per l’occasione; tra gli altri quello di un Ritual tutto nuovo e si spera più “puntuale”, ovviamente presente quello della Old Europa Cafe … Nelle orecchie arrivano note fin troppo conosciute, il fumo esagerato nell’atrio sugli svacco-divanetti che penetra nella laringe a mo' di Ozone a gas dello Zoe Club …
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WHITEHOUSE COMEDY PHOTOSHOW