NETMAGE 05, (BO) 29/01/2005
Altro sabato in fuga per evitare di soccombere, sopraffatto dalla monotonia della metropoli pseudo moderna milanese.. stimoli culturali flatlineari.
La Drexmobile non ne vorrà sapere di scendere sotto i 150, la sua eccitazione per la penetrazione nel lettore di un cd di progressive trance le fa confondere km\h con bpm, ed ingaggia una lotta senza fine con quella tecnocolonna sonora.
Dopo l'incubo del parcheggio, via D'azeglio, camminata tutta dritta come la cassa in 4\4, spinta oltre misura da un gelo che sale.
Si entra, Auditorium Teatro Manzoni.
Tre schermi pongono in esatta corrispondenza microglitches e visioni sovrapposte, compendio di un unico scenario acustico\visivo, su fondale classico\moderno.
Schermi visibili su due fronti, punto di vista inusuale per il luogo, si prende posto anche sul palcoscenico, laptop in ordine sparso, controller midi, cavi audio disordinati quanto un piatto di spaghetti.
Il loro suono è preda di orologi folli, con ritmica regolare e distorta, per l'immaginario i suoni gridati prendono fantasmatiche forme e rimbalzano sulle pareti come echi materializzati, pseudocorpi corrono a velocità sostenuta sui tre piani che sovrastano il luogo.
Kristen_/Mzweigll: Lyder (D)
Ora schermo monocolore per un fondale sonoro che procede per microvariazioni in un percorso senza intervalli, il controller permette di riappropriarsi di un contatto fisico con la macchina, richiudendo in gabbia l'odiato "topo a due tast".
Un filtro a bassa oscillazione manda in ipnosi il tappeto vibrante, la variazione si spezza, acquista un incedere ritmico sul drone psicoacustico.
Sfumata, fine. Non un live impeccabile per una caduta di volume e la comparsa di un inatteso disturbo. Abbracciare l'arte minimal porta con se le proprie conseguenze.
Bas van Koolwijk/Christian Toonk: RGB (NL)
La proposta sonora del duo è più ricca, un'oscillazione porta su un'onda anomala i pensieri della sala, stridori graffiano il timpano, si afferrano rapide emozioni cicliche, disturbi presto placati a favore di un ticchettio che va in echo.
I segnalatori rossi delle molte digitali presenti in sala sembrano puntare a target casuali.
Io mi scopro, a lato del palcoscenico, a gettare su fogli di fortuna le più disparate impressioni, come una medium in trance, guidata da alfabeti inesistenti.
Di nuovo l'onda, intensità dosate e frenate prima che il tutto diventi un motore a reazione che ci spedisca tutti all'inferno.
Sembrano quelli più in serata, due pause, il secondo pezzo pare apprezzato ad occhi chiusi, per un film personale, nel terzo tutte quelle teste reclinate fan sorgere il dubbio di un effetto soporifero.
Jan Jelinek/Karl Kliem: Sound and Image (D)
Con una differenza di 6 ore di fuso orario, Deadbeat è connesso da Montreal per mezzo dell'interfaccia virtuale, Atlantic Waves 3, compare scura e triplicata sugli schermi e rivela presto le modalità di interazione tra i due. I punti rossi che scorrono sulle 10 tracce rivelano la presenza di sequencer, con suddivisioni di tempo autonome e possibilità di inversione. Lo scorrere del puntatore rivela le azioni di Monolake, Deadbeat risponde con quel senso di obiquità che il mezzo permette di realizzare.
Se qualcuno pensava all'ora conciliante, già portato al rilassamento da chi ha preceduto si dovrà ricredere, con i due che vanno tessendo una ritmica sempre più complessa che sfocia nel techno dub, rilevabile dal basso come pure da arrangiamenti reggae, la mano di Deadbeat per chi già lo conosceva.
Monolake pare divertito e sorride, superati i problemi di caduta di connessione iniziale, la folla si raduna dietro di lui, al culmine della nottata pare imbracciare un martello pneumatico dotato di rete neurale, in grado di scalfire quel ghiaccio sul quale altri campioni del ritmo complesso, gli Autechre, ci hanno impresso la propria poetica.
Pausa. Chiede "One more?".
Durerà poco ma riparte con un bulldozer, il tono minimalista della serata è ormai fuggito impazzito, inseguito da tribù di particelle colorate, mandate in on\off dalla regia dei nostri, che costruiscono e spezzano. Sul momento di tramutarsi in una follia tribal-hardcore, pare tirare un freno di emergenza.
Telefonata via cell a Deadbeat, lo ringraziamo "live" oltreoceano.
Monolake vs DeadBeat: Atlantic Waves (D-CAN)
La serata potrebbe continuare, forse Ellen Allien continua a far girare i 12" al Cassero, conosco due tipi all'ingresso e scambio qualche chiacchiera su generi electronici, forum.
I saluti, l'avvio a riprendere la strada del ritorno in una Bologna alquanto deserta per un freddo sempre più intenso.
Piazzo la Nikon giusto il tempo per fissare l'ultimo sguardo, ne vale sempre la pena.
Serate come questa fan sembrare il ritorno a Milano l'entrata al ricovero dove si parcheggia qualcuno che si accompagna al riposo eterno.
Di fronte alla mancanza di stimoli di quest'aria malsana, riavvolgo i ricordi del mio nastro mentale e riporto il contatore a zero.