You should be dancing di Peter Shapiro (Kowalski, 2007) pag 431, 18€
Reviewed by psychosis
Nell'Europa dell'occupazione nazista alcuni giovani si riunivano di nascosto per ballare, era la swing-jugend che, in scantinati col giradischi, se la spassava in barba alla Gestapo. Quella fu la miccia della figura del dj ante-litteram e della cultura Disco. Chiunque abbia perlomeno 40 anni si è imbattuto nell'epopea disco di fine 70s, che raggiunse il suo culmine di visibilità appena prima che si frantumasse nella sua belle époque di sfarzo, mentre i neo-con americani trovavano la propria bandiera in Ronald Reagan. Eppure, la Disco e la sua anima soul, nacque già nei 60s come fenomeno più underground, quel Loft newyorchese e altri locali fatti di disinibizione, di glory-hole, di contatto fisico e sesso sfrenato che divenne simbolo del nascente movimento gay. Un nuovo linguaggio del corpo, di gruppo, un nuovo ballo comunitario ingannevolmente tradotto nello "smiley", ma che serbava in seno emozioni represse.La Disco nacque dalle ceneri della Grande Mela di fine 60s, quando New York più che grande era una mela marcia in balia di criminalità e droga, dove i neri lottavano ancora per i propri diritti.
Shapiro compie un approfondito excursus della parabola Disco, citando centinaia di fonti e utilizzando un taglio sociologico e storico che fanno di questo libro uno dei più importanti documenti "popular music" che si possano leggere, a prescindere che si possa essere o meno interessati alla disco-music. Tecniche di djing, descrizione scrupolosa di posti e della varia umanità inseriti nel contesto sempre a fuoco ne fanno un documento prezioso per qualsiasi appassionato di musica o neofita, mentre i centinaia di producers, djs e dischi citati, anche nell'appendice discografica, sono pratica enciclopedia per chi ama il genere.
In principio il sound Motown e il Northern Soul furono le palestre ideali della nascente ondata Hi-NRG, dell'Eurodisco e dell'Hustle, vero e proprio baluardo stilistico di quell'estetica, drumming e basso che incedono decisi, archi svolazzanti, cori e melodie di grande presa. Questa era "The Hustle" di Van McCoy & The Soul City Symphony, uno dei più grandi hits di metà 70s. La Disco ha però sempre parlato italo-americano e bianco-nero fin dal principio: Mancuso, Grasso, Cerrone e soprattutto quel Giorgio Moroder,che diede la svolta "commerciale", produzioni perfette per dancefloor che volevano essere svagati. Ma se nella prima parte dei 70s la Disco è quasi un movimento carbonaro, da Philadelphia a San Francisco, nella seconda parte dei 70s si erge come paladina del mondo pop-aristocratico e commerciale, ben esemplificata da "La febbre del sabato sera" e i suoi stereotipi, che furono criticati dagli stessi esponenti Disco originari. In quel periodo solo in America si contano oltre diecimila discoteche, diventando un fenomeno di businness impressionante.
Se gli Chic diedero il la, l'epoca dello Studio 54 e di Bianca Jagger che vi entra a cavallo fu la sinfonia principe. E'la nascita infausta se vogliamo, di tutta quell'estetica da rotocalco, di gossip e di ciarlatanerie osteggiate da altre contro-culture musicali che utilizzavano il funk in maniera più radicale, come l'hip hop. La peculiarità dello Studio 54 era però il mix fra vip e gente comune, attentamente scremata all'ingresso, facendo entrare chi poteva per il proprio aspetto rendere piacevole la serata agli altri.. L'immagine di elegantoni danzanti sotto palle a specchio che alzano le mani durante YMCA dei Village People,è sicuramente il peggiore incubo audio-visivo credo, di chi ascolta rock, ma anche una visione distorta di un mondo musicale che ha detto ben altro ed è stato spermatozoo di movimenti dancey successivi.
Shapiro pur criticandole i suoi risvolti deleteri finali, fa presente che la Disco è stata uno dei fenomeni popular più importanti del Novecento, meno utopica e più pratica del movimento Hippy, in principio esprime la protesta verso il mainstream dominante e diventa un'arma in più per "diversi" e razzialmente discriminati. Fu una scossa che covava però come il punk i germi della propria autodistruzione, in una società americana, oltretutto, che negli 80s cercò di ripulirsi arianamente da tutto ciò che poteva metterne in dubbio "il sogno" puro e primordiale, in un'omofobia che trovò nella Disco uno dei (tanti) bersagli ideali, con tanto di vinili distrutti (manco parlassimo dei Dead Kennedy's..).
"You should be dancing", scritto da uno dei migliori giornalisti musicali in cirolazione, ha il pregio di parlare dettagliatamente della Disco senza stupidi pregiudizi, ma anche una "biografia politica" senza quella prospettiva da fan che ne avrebbe fiaccato la portata. Strutturalmente perfetto nella sua impostazione capitoli-note, un plauso anche alla traduzione di M. Maraone, che spesso spiega a piè pagina alcuni termini tecnici.
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