L'ITALIA NON CANTA PIU': Battisti, Sanremo, il '68 e i cantautori, Pippo Baudo, la cultura popolare…..
Di Oliviero Beha, da “Trilogia della Censura” – Avagliano Editore 2005 – 14€

“Trilogia della censura”, chi lo avrà mai infilato tra le sinapsi di Drexkode.net? Una trilogia di libri inediti perché così si volle nell'italietta dei furbi. Musica elettronica? Giammai. Popular music? In un certo senso si, la nostra musica popolare, quella leggera melodica, quella che ha sostenuto l'industria discografica del bel canto o del guadagno facile, per alcuni, a modo loro.

Tagliamo corto sui primi due inediti di Oliviero Beha: “Mundialgate” analizza la vittoria dell'Italia ai Mondiali dell'84, con il controno di trucchi, camorra e scommesse clandestine; “Antenne rotte” raccoglie gli interventi della trasmisione in onda su Rai3 “Va Pensiero”. Nel nostro piccolo mondo invece riprendiamo questo libercolo nascosto negli anfratti dell'editoria col bavaglio. Qui si ridà voce ai muti, il messianico ruolo di questa webzine che forse un giorno introdurrà lezioni di cucito e ricette pepate, purchè sempre in grado di stimolare quegli “immaginari contemporanei” sventolati fin dagli esordi.

Oliviero Beha ha condotto alcune trasmissioni televisive (Va Pensiero) e radiofoniche (Radio Zorro), oltre che collaboratore di quotidiani e settimanali, docente di Sociologia a “La Sapienza” di Roma.

“L'Italia non canta più” è del 1997, una conversazione tra il giornalista Oliviero Beha e il noto autore Mogol attorno alla realtà della musica leggera italiana, con i sotterfugi, le pastoie, la mancanza di coraggio, l'abbraccio alle politiche di mercato, che hanno come primo risultato il declino culturale e qualitativo.

Percorrendo questa chiacchierata, lunga ben 140 pagine, si possono condividere molte delle riflessioni dell'uno e dell'altro.

Un Mogol che parla con una certa nostalgia di una realtà musicale più genuina e ormai perduta, dell'importanza attuale degli arrangiamenti e delle copertine rispetto all'ispirazione. Afferma: “La capacità critica di una persona è legata alla sua cultura, e senza una cultura popolare di un certo peso anche la capacità critica ne risente”. “Se una generazione viene acculturata ha una capacità ricettiva……. Se non la educhi per avere una sensibilità per capire, non potrà farlo…”. “La cultura uccisa dalla logica del prodotto”. Pare di averne inghiottiti molti di bocconi amari se questo è il suo pensiero e la realtà discografica che lo ha attorniato è una delle cause del suo soffrire. Mogol sembra prendere una posizione critica ma senza distacco definitivo, sembra vivere con la speranza di recuperare una fetta di torta, ovvero quanto di più frustrante nell'essere artisti.

Fa piacere leggere del declino e delle derive della musica italiana da chi può osservare da vicino, chissà che oggi non si sia convinto che le modalità alternative al diritto d'autore potrebbero riportare il primato dell'arte sul business o che la costruzione di forme di produzione e distribuzione per via telematica possano rappresentare un'alternativa ai grossi colossi discografici, infierendo su di loro con colpi decisi diffondendo una diversa cultura, quella che porta a minare le basi stesse del mercato di questi dinosauri che solo una diversa cultura può prima far barcollare poi sprofondare sotto il loro stesso peso. Fantasie forse ma sta di fatto che il mostro si organizza, l'acquisto di MySpace ne è una prova.

In quest'opera troviamo rappresentati Mogol e Battisti che negli anni della contestazione venivano messi al bando; a quei tempi era necessario schierarsi e se pubblicamente non si faceva a sinistra ci si doveva guardarte dal ritornare a casa al buio la sera.

Coloro che alla parola Sanremo rispondono con indifferenza, già sanno o percepiscono le dinamiche sottese al rapporto tra l'industria discografica e i mezzi per divulgare musica. Nulla di nuovo quindi sul tema. A mio parere la SIAE viene qui fin troppo difesa; sono comunque affermazioni che, proveniendo da Mogol, che in quell'ambiente ci ha speso una vita, cadono come una frana su un modo di intendere l'arte-musica che, ci auguriamo tutti, almeno da queste sponde, possa prima o poi tramontare.

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