"SULLA POPULAR MUSIC" di Theodor W. Adorno, introduzione di Marco Santoro. - Armando Editore - 2004.

Il breve saggio è preceduto da un'introduzione, di Marco Santoro, che riprende sostanzialmente i contenuti delle 60 pagine di Adorno, più interessante mi pare l'ultimo capitolo sulla visone di Adorno trasposta nella società attuale. In fondo 7,50€ dovevano essere meglio giustificati per un libretto di quelle dimensioni, in piccolo formato pure, anche se il valore del saggio dovrebbe far dimenticare il costo della carta, rimane comunque un testo che può forse attirare, purtroppo, solo coloro che intendono addentrarsi negli studi di popular music.

Adorno scrive "On popular music" negli anni '40, un testo che viene tuttora considerato una delle analisi più profonde sul tema, sebbene esso rappresenti anche una difesa della vecchia tradizione, colta ed eurocentrica, di cui Adorno fu uno dei più accesi sostenitori contro la diffusione di generi musicali nella società di massa. Questo testo va inserito infatti in una serie di analisi sulla società allargata che andava delineandosi sempre più in quegli anni.

Adorno dirige il proprio sguardo al ruolo che arte, media, comunicazione hanno nella cultura di massa, il nuovo ruolo dell'oggetto nella società dei consumi, il suo valore economico ancor prima del contenuto.

Adorno nasce nel 1903 a Francoforte, nel'23, membro dell'Istituto di Studi Sociali, sarà tra i principali esponenti di una scuola di matrice marxista, in opposizione alla teoria tradizionale, borghese, nell'analisi delle categorie conoscitive del mondo esistente.

La sua analisi contiene il concetto di "totalità", il non poter isolare un aspetto dalle molteplici implicazioni che esso ha con altri aspetti della società. In particolare per la musica, alienata in quanto merce ancor prima che espressione artistica, un oggetto che soddisfa spesso un bisogno di acquisto prima ancora che il beneficio che se ne trae dall'ascolto.

Introduce alcuni concetti quali il "Plugging", ovvero la ripetizione continua delle canzoni cosiddette di successo, esso permette di creare nell'ascoltatore l'idea che esista una folla che condivide i medesimi gusti, creando una base di ascolto laddove non ve ne sarebbe alcuna. Oppure "l'incanto", il "baby talk", termini con i quali Adorno definisce aspetti musicali che fanno leva sulla psicologia dell'ascoltatore, un riconoscere l'appartenenza dei brani a qualcosa di esistente e quindi maggiormente accettabile, un senso di paretecipazione illusoria, comunque scaricabile presto nel mare delle merci "superate", per soddisfare esigenze del mercato dei consumi e psicologiche, nel liberarsi di questo inganno ma pronti ad abbracciare il prossimo nell'infinita ripetizione del ciclo delle mode.

La distinzione operata non è relativa a musica colta\popular music, piuttosto a musica che accetta le logiche della produzione e quella che le rifiuta.

La grandezza di Adorno sta nell'aver analizzato , il primo a farlo con una simile acutezza e lucidità, il ruolo della popular music nella società di massa e nei tratti principali che la contraddistinguono, un'analisi della popular music vista come merce all'interno dell'industria discografica.

Un connubio tra conservazione dell'ordine sociale e musica che mette in evidenza i meccanismi perversi di controllo delle masse. Un giudizio severo e drastico sul comportamento umano, sostenendo che vi è una ripetizione delle medesime logiche dei modi di produzione in coloro che ascoltano popular music, una distrazione indotta dalla noia del lavoro e della vita quotidiana richiede un ascolto senza impegno e volto al semplice divertimento.

La standardizzazione creata dal "plugging" non è comunque sufficiente di fronte al gusto personale, si crea allora una sorta di pseudo individualizzazione, ovvero l'ascoltatore, secondo Adorno, crede di esser libero di scegliere, in realtà lo fa all'interno di uno schema precostruito, nel quale le canzoni di successo si creano e si ripetono secondo una falsa diversità, ed entrano in campo i generi per illudere sull'esistenza di una variabilità musicale, in realtà asservita ad un medesimo ordine prestabilito o meglio dire pre-digerito..

Diciamo che rimane la tendenza, da parte dell'industria discografica, a voler mantenere un controllo, ai fini del profitto, sulla produzione musicale quando questa può risultare appetibile per un pubblico vasto, cercando anche alternative ai rigidi schemi illustrati da Adorno. La popular music ha una capacità e un ruolo sociale che Adorno sottovalutava, essa ha mostrato infatti anche la capacità di catalizzare al proprio interno, almeno per certi periodi o generi, quella ribellione alla mercificazione e alla standardizzazione generale nella società di massa.

Adorno scrisse negli anni '40, in tempi in cui il jazz era una musica da ballo e intrattenimento, tempi in cui la produzione musicale avveniva attraverso mezzi, tra cui cinema e radio, controllati da centri del potere e pure alla base del consenso di regimi totalitari.

Adorno deve essere un punto di partenza per uno studio della popular music, necessario il suo superamento traendone un'utile lezione.

In fondo è molto attuale la sua critica alla struttura ripetitiva della forma canzone, un "chorus\verse\bridge", e alla difesa della più nobile musica seria, dove si ricorre più a una relazione tra dettagli, una distanza sottolineata anche da un parte della produzione elettronica, la quale si avvale di nuove modalità di composizione di brani. Adorno avrebbe forse identificato in alcuni di noi ascoltatori quella tipologia di individuo "aritmicamente obbediente", per il ruolo che la macchina possiede nella produzione musicale e il suo assoggettamento alla ripetitività senza sentimento, contrapposto al tipo "emotivo" che ritrova nella popular music l'opportunità di provare qualcosa "..La musica che consente ai suoi ascoltatori di confessare la propria infelicità li riconcilia, tramite questa "liberazione", alla loro dipendenza sociale".

Adorno non visse a contatto con le sottoculture giovanili che seppero utilizzare la Popular Music stessa contro i centri di potere artistico a cui lui stesso rivolgeva una critica.

Il ruolo della musica è cambiato, oggi permea la società ad ogni livello ed è presente, o lo è stata negli ultimi 40 anni, anche laddove vi sia una dura opposizione nei confronti di alcuni modelli di vita occidentale, espressione di controculture in continua trasformazione. Per una migliore comprensione del fenomeno in questione oggi, partendo dalle premesse di Adorno, è fondamentale rivolgersi ad altri studiosi, con obbligo di precedenza a Richard Middleton in "Studiare la Popular Music", Philip Tagg "Da Kojak al Rave" e pure il nostro Franco Fabbri, quest'ultimo con un approccio meno accademico e quindi di più agevole lettura.

Raccomandato ad ogni individuo dotato di udito, dalla post-adolescenza fino alla perdita della ragione.

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