Bloody Riot, Ardecore de Roma: 1983-2001- Onda Rossa Libri, 2001 - 182 pag, 25.000 L.
(incluso cd audio)
by Drex
Ci sono stati diversi modi per vivere la stagione del punk, l’esperienza Bloody Riot (BR) è stata una di queste. Da parte mia, secondo un livello di lettura superficiale, questa teppa romana non avrebbe avuto nulla di buono da considerare, essendo orientato allora verso l'universo anarco pacifista della famiglia Crass. Erano anni di rigidi schemi che si riflettevano nell’atteggiamento delle sottoculture giovanili, per ignoranza giornalistica definite "bande", chiuse in compartimenti stagni. Invece devo ammettere che fin da subito mi avevano conquistato; accadde poi nell'87 l'arrivo di quella maledetta cartolina azzurra: mi dissi "non s'ha da fare", quella che per me era una umiliante divisa non fu mai indossata. Appesi alla parete quel cartoncino azzurro, per me privo di alcun valore, e nell'aere della stanza partirono le note della traccia live finale del loro lp d'esordio "Contro lo stato / Naia de merda", il resto è storia ordinaria, di quelle comuni o singolari come ognuno di noi ne ha una. Ed una storia, abbastanza turbolenta, è quella raccontata dai BR.
Nel primo capitolo emerge l'insofferenza di Roberto Perciballi, voce dei BR, verso l'infestazione vaticana della capitale, ricordando l'ingorgo giubilare del 2000.
Soli contro tutti, da che parte stavano i BR? Stavano con la loro incazzatura, con le loro provocazioni, punk teppista, punk che inizialmente faceva a pugni con l'Autonomia, anche se oggi pubblicano insieme un libro con cd. Fosse venuto giù il Muro molto prima dell'89 quei mattoni se li sarebbero tirati addosso. Vedendo che tirava brutta aria, sia a destra che a sinistra, Roberto decise che le vesti del "pank" anarchico rappresentavano meglio il proprio bisogno interiore. ".. Un giorno lontano qualcuno scriverà che il primo individuo concettualmente corretto e primo cittadino libero di tutte le galassie nacque dallo stile di vita Pank, l'embrione quindi della libertà ".
Attorno ai giovani romani c'era solo il nulla, un vuoto ma pure la mancanza di un punto di aggregazione per far maturare un concetto di autoproduzione e militanza che nelle città del nord, prima a Bologna, con il suo tasso elevato di creatività, come pure a Milano, più dotata di mezzi, aveva messo più solide radici. Tra le tante difficoltà riuscirono, tra i primi, ad autoprodursi il loro primo ep.
Le testimonianze del loro vissuto sono riportate, in termini autobiografici, da alcuni membri, dai primi stimoli ormonali della pubertà fino all’età matura.
Dai ricordi del chitarrista Canevacci parte un trip del proprio vissuto, sensazione di déjà vu, quando vedendo la divisa del carabiniere il primo pensiero era quello di mettere mano ai documenti perché si era colpevoli di passeggiare in abiti e aspetto poco graditi.
E' Lorenzo che chiarisce la natura più istintiva del punk romano: un mix di incazzatura e vita da strada che a Milano e Bologna potevano aver trovato una via per canalizzare meglio quell'energia giovanile. Punk viscerale, d'impatto, molto più diretto per la mancanza di fronzoli ideologici e turbe politiche, incomprensioni tra diverse "scuole punk". La diversa natura che contrappose questo punk, dallo spirito di matrice 77, con l’hardcore pacifista milanese è evidente nell’episodio del gatto che vola dalla finestra del centro sociale Virus, riportato anche in “Lumi di punk”, a cura di M. Philopat, (di prossima recensione), che sottolineò un poco la distanza di sensibilità della "truppa romana" e la “comune” milanese.
Più ricco di dettaglio il racconto autobiografico di Vargiu, al basso. Anche all'interno del punk prevalsero elementi di classe, vi fu un diverso modo di viverlo perché il punk di borgata e quello della classe media mantenevano un marchio d'origine indelebile. [Posso testimoniarlo avendo vissuto in una ricca provincia lombarda]. Mancando il collante dell'ingenuità ideologica senza compromessi prevalevano musica, rabbia, disagio e violenza; assente la dimensione politica si perpetrava il messaggio del "No future" senza un'alternativa; è un disagio sostanzialmente tradotto in note. Vargiu porta un po’ di rancore per coloro che il punk non lo hanno pagato sulla propria pelle; si può comprendere il senso di esclusione provato nel non godere di medesime opportunità vissute altrove, i BR credevano di farcela, sono mancati loro i mezzi ma non si può trascurare la loro autoesclusione perché il modello di punk alcool e anfetamina avrebbe posto seri problemi a tentativi di organizzazione, autogestione ed assemblea.
E' mancata in loro forse una presa di consapevolezza per transitare il loro punk istintivo in un progetto più politico, intendendo con questa parola un'azione mirata ad incidere nella vita reale oltre, il personale desiderio di libertà. Ma questo è facile a dirsi lontani dal loro trascorso. Non riconoscere che hanno scritto una pagina di tutto rispetto nel punk italiano sarebbe commettergli un torto, perché erano autentici, anche se la fortuna da un lato ha preferito voltar loro le spalle dall'altra quei pochi momenti che si è girata hanno esclamato "che cazzo vuoi". Se posso muovere loro una critica, direi che se fossero stati più orientati verso il punk pacifista quel tanto odiato servizio militare avrebbero potuto rifiutarlo con maggiore convinzione ma lo dico da parte di colui che ha vissuto una stagione del punk meno dura, sia per ragioni anagrafiche, anche solo per quei pochi anni di ritardo, sia perché la calda ovatta del punk di una provincia del nord non era ruvida quanto quella dei borghi periferici della capitale; diverse le origini, diversi i percorsi e gli obiettivi.
La soglia dei 40 pare non avere intaccato il loro smalto e questo è un risultato di cui possono andar fieri.