PORTISHEAD - DUMMY( Go beat, 1994)
1 Mysterons
2 Sour times
3 strangers
4 It could be sweet
5 Wandering stars
6 It's a fire
7 Numb
8 Roads
9 Pedestal
10 Biscuit
11 Glory box
Dummy è la sensualità che prende forma musicale e lascia il segno indelebile, difficile trovare un disco più femminile e toccante di questo. La musa del trip hop è stata Beth Gibbons, che insieme a Geof Barrow ha saputo elevare il gesto musicale a vette emotive himalaiane. Del 1994, Dummy è un caposaldo dell'esplosione del trip hop inglese, un disco di gusto estremo, con le sue basse battute e l'uso finemente rude e timido dello scratch e del sampling raffinato di Barrow, che non acquista come in Dj Shadow o Amon Tobin la varietà rigogliosa e imprevista nello svolgersi del disco, ma è uno spezzone che si impunta come disco rotto torturando la mente, mentre i beats martellano stancamente la vacuità di giungere a una posizione, un essere affranti e compiacersi nella malinconia, un soul bianco che vocalizza con gusto retrò e blues, la Virginia Woolf del faro nell'incertezza dell'essere, ritratto di grazia femminile degli anni '30 della De Lempicka, odore di donna allo stato puro, infine, il disco a cui confidarsi e concedersi dopo una giornata storta, sapendo di essere capiti.
Tutto ciò è il senso di questa musica fatta senza troppi fronzoli che per chi scrive rappresentò una tappa fondamentale e una rivelazione. Ognuna delle undici tracce si salda nell'immaginario personale a iniziare da Mysterons, abile selva confessionale che ci porta in un'altra dimensione con quel break tentennante che scalfisce la voce della Gibbons e la chitarra di Utley (chitarrista jazz) e il synth di Barrow diventano autentici fantasmi reconditi del nostro essere. In "Sour times", già familiarizzati, si viene rincorsi e incalzati dai Portishead in una cavalcata urbana noir e movimentata costruita attorno al samples di "The danube incident" di Lalo Schifrin, mentre in "Strangers" con l'altrettanto significativo samples tratto da "Elegant people" dei poliedrici Wheater Report si è proiettati in camerini da Pin up di inizio '900. "Dummy" è l'opera più puramente dark che abbia mai ascoltato dopo "Unknown pleasures" dei Joy Division, pezzi come "Roads" e "Biscuit" (con la sepolcrale voce di Jhonnie Ray scratchata lievemente) sono momenti di riflessione urbana fuori dal tempo, uno spleen parigino di vite che ci passano davanti e scompaiono, senza sapere il perchè.
Il jazz esce fuori ancora in "Pedestal" con la tromba di Andy Hague mentre Utley ricama col basso sul drumming sornione, fino ai momenti strafottenti di "Numb". I momenti più toccanti arrivano con I'ts a fire, in cui il cantato della Gibbons e l'organo hammond sarebbero capaci di far crollare anche i più sordi: "cause this life is a farce, i can't breath through this mask, like a fool, so breathe on, little sister, brathe on..". Il capolavoro finale è Glory Box, uno degli epitaffi più efficaci della storia del rock, con quel cavernoso blues fumoso screziato dalla chitarra qui claptoniana di Utley, e si dice infine : "i just wanna be a woman".. ed è la fine di tutto, totale.
"Dummy", avvalorato dall'onesto lavoro analogico di Barrow, dalla chitarra sapiente di Adrian Utley e da una camaleontica Gibbons in stato di grazia, con le sue scelte azzeccate di arrangiamenti miranti ad una rivisitazione noir del blues-jazz, e soprattutto frutto di un'ispirazione che magari arriva una sola volta nella vita, rimane il disco bristoliano per eccellenza, monumento insuperato della musica contemporanea.